martedì 13 marzo 2012

giusto per ogni x compreso tra

Giusto in matematica significa il risultato cercato, l'unico valido. Quando fai finta che la morale sia un sottoprodotto della logica, a sua volta proiezione di un metodo scientifico, dentro un complesso teoretico di assolutismo razionale, a quel punto ci si è spinti troppo oltre, è andato perduto il contatto con la realtà. Si tratta di una deriva intellettuale positivista molto in voga da parecchi anni, un incubo a occhi aperti di conformismo imposto dalla scienza che attraversa tutte le espressioni della vita umana, intacca la sfera ludica e quella lavorativa, il privato e il sociale. La delimitazione del campo di una variabile nel caso dei valori, in questo caso la giustizia, declinata in equità, solidarietà, uguaglianza, non viene applicato. La matematica non muta il campo di applicabilità di un teorema a seconda di convenienza o consenso, non viene deciso a maggioranza se le rette sono parallele solo in un piano euclideo. Nel campo morale invece non esistono valori che sono tali o meno a seconda del punto di vista: pensate al cannibalismo, all'incesto, passate alla presunzione di innocenza e alla non imputabilità dei minori. Quando uno scienziato vi parla di giusto e sbagliato in termini indiscutibili, come se stesse parlando dei buchi neri o della termodinamica, mettetevi a urlare e scappate, oppure sorridete e fate finta di niente che tanto prima o poi si muore tutti lo stesso.

La democrazia moderna invece si basa esattamente su questi due principi cardine in concorrenza fra di loro: il consenso e la maggioranza. Per avere consenso devi dare dei diritti, ovvero dei soldi, perché di solito i diritti implicano spendere soldi per garantirli. La maggioranza è di per sé ingiusto come principio generale per ottimizzare un processo decisionale: il fatto che lo vogliano in tanti significa solo che sono in tanti a desiderare che vengano spesi soldi per garantire questo o quel diritto. Il diritto alla salute implica un costo, lo stesso la scuola, la sicurezza, l'aria pulita, produrre e consumare, tutto ha un costo e qualcuno lo deve pagare. Qui scatta l'inghippo che porta al fallimento: sono i ricchi che devono pagare. Logico, se uno è povero con cosa paga che non ha un manco un tollino bucato in saccoccia? Se servono soldi li vai a prendere a chi li ha. E quando dico soldi intendo risorse materiali. Immaginate un paese povero dove non esistono industrie ma solo coltivazione e allevamento, perché no? Forse non può esistere la giustizia in un paese povero? Certo che può, a patto che il livello dei servizi garantiti dallo stato per diritto siano di pessimo livello. I soldi li vai a prendere ai ricchi, a chi coltiva e alleva. La matematica stessa dice che esiste un punto in cui conviene non coltivare e non allevare perché ti girano i coglioni quando tu ti stai ammazzando di lavoro e quando vai al bar vedi uno che campa di sussidi statali e manco ti ringrazia, anzi, ti insulta.

Abbiamo dunque la democrazia come sistema di governo di lusso, per paesi ricchi, dove si prendono i soldi dei ricchi per garantire dei diritti. Sembra una forma di altruismo legalizzata ma non lo è. Si tratta di uno scambio: i ricchi pagano la pace sociale, è un contratto. Pagano le forze dell'ordine e la magistratura, che sia la masnada del feudatario o i corpi speciali del presidente, per vivere sicuri e tranquilli. Pagano la scuola pubblica perché si pensa che gli stupidi, se li istruisci e gli dai la paghetta settimanale, si convinceranno di essere dei nobili geniali e si comporteranno come si deve, tranne il venerdì sera, che si devono pur sfogare. È qui che si comincia a comprendere il meccanismo delle democrazie socialiste. Sono socialiste a prescindere che permettano o meno la proprietà privata, il profitto, l'interesse sul capitale. Sono socialiste a prescindere che utilizzino le elezioni per scegliere i governanti o ci sia un principe, un dittatore, un generale, un presidente. Sono socialiste quando garantiscono servizi pubblici, quando utilizzano un metodo progressivo di imposta, quando sfruttano il consenso per andare al potere e poi si trovano obbligati a garantire diritti costosi trovandosi di fronte al un bivio: o li garantisci a un livello scadente o li finanzi, con inflazione e svalutazione o con debito pubblico che grava sulle future generazioni. Non è difficile da capire, non so perché nessuno si decide a parlarne, forse si aspetta che finisca il petrolio, che i bilanci statali esplodano, non saprei.

Ricapitoliamo. Ogni diritto ha un costo che nei paesi poveri implica servizi di livello scadente o deficit di bilancio statale. La democrazia è uno strumento che necessita consenso e il consenso si ottiene combattendo per il riconoscimento di nuovi diritti, sempre più costosi, dal diritto di parola al diritto alla casa, dal diritto di protesta al reddito erogato dallo Stato a tutti i cittadini in possesso dei requisiti. Si passa da tasse pagate dai contribuenti in cambio di un servizio, per quanto scadente, quale può essere la polizia o le fognature, una vaccinazione obbligatoria o un ponte, a tasse pagate per cose 'giuste' di per sé. Si passa un valore di convenienza oltre il quale è preferibile essere poveri, essere dalla parte di coloro che non si addossano il peso economico dell'intera faccenda, e il circolo vizioso del socialismo si manifesta in odio verso chi è ricco perché 'non è giusto' e amore verso chi è povero, verso nuovi diritti premianti/punitivi nei confronti di chi non rientra nei parametri del valore medio, della mediocrità. Qui c'è il confine, qui finisce il campo entro il quale ha significato il teorema del giusto e sbagliato. Fino a quando il paese è abbastanza ricco per potersi permettere livelli crescenti di politiche socialiste va tutto bene. Va bene se ha pozzi di petrolio, industrie che esportano, miniere, foreste, poca popolazione in rapporto alle risorse disponibili sul territorio. Altrimenti inizia a impoverire sistematicamente i ricchi, che nel caso dei ricchi di un paese povero sono i poveri di un pese ricco, e qui parte il confronto tra Stati, perché se non è giusto all'interno dei confini nazionali, perché dovrebbe esserlo tra europei e africani, tra asiatici e americani?

Per cui teniamo presente il lato economico nelle discussioni politiche. Il giusto e lo sbagliato di per sé non significano niente. Il mondo intero è sbagliato. L'universo è sbagliato. Dio è insensibile e non risponde alle preghiere, non fa più miracoli e se ne frega del povero Giobbe. Muore l'eroe e l'empio campa mill'anni. Da decenni la febbre positivista illude i suoi discepoli riguardo alla possibilità di un mondo più giusto, sempre più giusto, in compagnia di un'economia delle risorse infinite che promette un mondo sempre più ricco, una medicina col miraggio di un mondo sempre più sano. C'è questa curva iperbolica della fede in promesse vane che è così romantica da commuovere i più ingenui, sempre alla ricerca di consolazioni nel mondo reale, di progetti in grado di sconfiggere la soggezione che si prova di fronte all'autorità invisibile e insensibile dell'universo panteista, ma post-spinoziano, un new age da natura matrigna, la disperazione di un orfano vendicativo alla ricerca dei veri genitori, come i protagonisti dei cartoni animati giapponesi, delle favole ottocentesche, dei racconti educativi e della trame da film che si trascinano a conclusione di quest'epoca agli sgoccioli, questo capitolo della cultura a cui restano pochi decenni di vita. Da oggi cercate di tenerlo presente, se ci riuscite, mentre venite bombardati dai media e fate tutto quello che ci si aspetta da voi, mentre vi fate venire l'acquolina davanti alla pubblicità e accettate di avere le reazioni emotive previste dal comiziante indignato in vena di omelie elettorali, quando sognate dentro a un libro o a un film e poi odiate lo specchio per settimane intere.


(Geronimo, capo di una tribù Apache, a bordo di una Locomobile Model C, nel 1904. Geronimo è quello al volante.)

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