venerdì 27 gennaio 2012

con metodo scientifico

Oggi è la giornata della memoria. Si leggono cose preparate da giorni per far bella figura, cose riproposte come a tirare fuori l'album fotografico di famiglia, si leggono cose di gente che partecipa alla celebrazione mediatica per guardare nell'obbiettivo e salutare la mamma, si leggono cose di gente che spara nemmeno contro i defunti, che anche i defunti ormai sono polverizzati, spara contro i fantasmi e non per ricordare ma per far rivivere il passato, come quelli che si vestono da soldato nordista e fanno finta di morire rotolando nell'erba, sotto gli occhi di spettatori divertiti. Il rischio di iniziative culturali come questa, la riflessione pubblica e collettiva sul dramma dell'olocausto, è l'effetto spettacolo, l'infezione dell'intrattenimento che trasforma ogni argomento in attrattiva, venite fatevi avanti siore e siori. Si valuta in termini di feedback l'iniziativa poco o molto interessante, a prescindere dai contenuti, si avverte la necessità di una tragedia che si presti a venire replicata senza perdere pubblico, come le serie tv che possono chiudere dopo la puntata pilota o andare avanti decenni. Si percepisce tutto questo in varie occasioni delle quali la giornata della memoria è una di queste, e quanto il non partecipare ti fa sentire in colpa, sentimentalmente egoista, romanticamente sterile, empaticamente limitato, tanto il partecipare ti fa sentire complice del sistema propagandistico superficiale, emotivo, irrazionale, acritico, che non approvi. Sia l'anno scorso che quello prima ho voluto mettere il dito anch'io nella ferita sempre aperta del antisemitismo e, nonostante la premessa liberatoria, è quello che sto facendo anche quest'anno.

Vedremo fotografie, filmati, leggeremo poesie, diari, tutto materiale che accusa i colpevoli come se fossero quattro stronzi sbucati fuori dalla fogna e avessero preso il potere di notte, mentre i buoni dormivano, e una volta sul trono del re avessero dato ordini indiscutibili per via di un incantesimo malvagio che rende schiavi. L'olocausto sembrerebbe opera di robot schiavizzati con la magia da mostri arrivati al comando con la truffa. Dite la verità, è questo che avete dentro alla testa, ecco perché non ho mai tutto quell'entusiasmo nell'unirmi ai riti di gruppo, non è per una forma di asocialità malata o presuntuosa, no, è perché non voglio sentirmi complice dell'inganno culturale. L'olocausto è stato il frutto naturale di un'epoca di socialismo scientifico, di scienza applicata alla società. Parliamo di Darwin, di Lombroso, di esplorazioni, di schiavismo, di rivoluzione industriale. Non si può trattare il nazismo come una cosa a parte, differente dalla altre dittature europee o addirittura estranea alla cultura prevalente nell'occidente. Non c'è niente di separato nello sviluppo organico del pensiero occidentale, la tecnologia influenza la storia che influenza la filosofia che influenza la medicina e via dicendo. L'olocausto non l'hanno fatto gli alieni, l'abbiamo fatto noi, anche noi adesso che ne parliamo schierandoci dalla parte dei buoni. Mettetevelo bene in testa che voi non siete i buoni, neanche se sputate sui nazisti, neanche se chiedete scusa, voi siete colpevoli due volte se vi credete innocenti. Se voi foste nati nella Germania di Hitler avreste pensato che fosse tutto giusto e normale, scientificamente dimostrato, moralmente accettabile. Chiaro? Voi non siete innocenti! Tantomeno siete buoni!

Se voi foste l'aristocrazia francese di fine 700 avreste pensato che la marmaglia stava esagerando. Se foste russi sotto Stalin avreste esultato alla notizia di un vicino di casa scoperto dalla polizia segreta e spedito in Siberia. Voi non sedete nel banco della giuria, o siete nell'elenco delle vittime o siete sul banco degli imputati. Non giudicare e non verrai giudicato non significa non giudicare apertamente per paura delle ritorsioni o astieniti ipocritamente dal giudicare, significa che nel momento in cui giudichi vieni giudicato. Il giudizio sull'olocausto, in particolare, è un giudizio su di noi come umanità, un giudizio su come gli esseri umani siano in balia di correnti culturali sulle quali non hanno alcun potere se non quello di testimoniare estraneità a posteriori, rinnegando qualsiasi coinvolgimento con cieca insistenza, per una due tre volte di fila se necessario. Tirarsene fuori, togliersi di dosso la colpa come fosse polvere sui vestiti, qualcosa di estraneo, e invece non è niente che viene da fuori, fatta da altri, che possiamo prendere, legargli al collo una collana di responsabilità e cacciare a pedate nel deserto. L'olocausto è colpa di tutti, anche di noi che celebriamo il giorno della memoria come a dare una pacca sulle spalle di solidarietà a gente che con noi non c'entra. E vedi gente che ogni giorno dell'anno esprime posizioni violente e assolutiste, oggi e solo oggi apre una parentesi di comprensione viscerale delle vicende umane come chi porta i fiori freschi sulla tomba dei genitori per il giorno di ognissanti.

Per cui sì, partecipo anche quest'anno, ma sto in disparte, come al solito, sto in fondo, nell'ombra, e sto zitto, non rovino la festa a nessuno. Farò finta di niente a chi mi guarda il naso e annuisce come se avesse capito qualcosa di me che nemmeno io comprendo, a chi maledice i colpevoli quando dovrebbe maledire tutti noi per essere come siamo. L'olocausto è il frutto più vistoso del socialismo scientifico che mira a eliminare i pezzi difettosi o non congruenti, che siano i geneticamente imperfetti, gli individui che non si sacrificano per il bene comune, che sia popolo o nazione. Nazismo è una contrazione di nazional-socialismo, è volkswagen che vuol dire auto del popolo, è industrializzazione e mito del superuomo niciano che in russia è stalin che significa acciaio e in america è clark kent. Non possiamo isolare la Germania e dire loro sono stati cattivi e noi no perché hanno fatto quello che avremmo fatto anche noi se avessimo trovato il coraggio. Perché tutto il mondo occidentale la pensava esattamente come i nazisti su tutto, chiaro? Riuscite a capirlo al volo o ve lo dico più lentamente? Le pubblicazioni sulle riviste scientifiche in tutto il mondo moderno puntavano dritte lì. Le pubblicazioni universitarie su temi filosofici puntavano dritte lì. I concetti espressi sotto forma di arte puntavano dritti lì. L'olocausto è il punto del corpo dove ha colpito il proiettile culturale sparato dall'umanità contro se stessa. La cultura dell'uomo occidentale, ovvero dell'intero mondo civilizzato, non si è neppure fermata a prestare soccorso, è andata avanti come se fosse inciampata.

Voi pensate che il nazismo sia diverso dal comunismo, dalle tante dittature nel mondo che si esprimono realizzando varianti del progetto ideologico del socialismo scientifico, una visione del mondo positiva e luminosa, come direbbero certi invasati, un lungo percorso verso la perfezione più o meno condiviso dalla maggioranza, sostenuto dalla voce pubblica delle élite che indirizzano l'operato delle classi dirigenti profetizzando rivoluzioni, teorizzando spiegazioni almeno plausibili, sventolando proiezioni statistiche ad hoc. Un mondo dove si è buoni per legge e il diritto ha fondamento nelle leggi naturali. Ebbene, voi siete nazisti. Voi volete eliminare chi non rientra nei vostri parametri. È normale, succede da sempre, è una dinamica di gruppo che si riscontra anche negli animali. Siete stati adolescenti, sapete cosa vuol dire essere dentro o fuori da un gruppo. Se dovete scegliere fra il salvare un parente o uno sconosciuto voi scegliete il parente. Se qualcuno al posto vostro compie di nascosto azioni che vi portano vantaggi, che sia eliminare la concorrenza, imprigionare i terroristi, uccidere feti femmine per contenere la popolazione, distruggere ecosistemi per farvi stare al caldo d'inverno, voi state zitti e fate finta di niente, preparare discorsi difensivi per un domani in cui vi venisse chiesto di rendere conto della vostra inerzia, vi preparate a manifestare pubblicamente cordoglio e pentimento, a chiedere scusa per quello che han fatto gli altri, i cattivi, a vostra insaputa. Per cui cosa volete che vi dica? Che siamo tutti ebrei? Va bene, ma alcuni di più e altri di meno, e non dirò che io lo sono di più, ma di certo in molti lo sono di meno.


martedì 24 gennaio 2012

Press enter to continue

Dovremmo porci dei limiti anche per internet, come per tutto il resto, non solo in termini di quantità giornaliera, ma di assimilazione totale: fissare una tacca e dire oltre questo punto non ce ne sta più. O scadenze temporali definitive, tipo vado avanti fino a quando esce guild wars 2, oppure per altri cinque anni. E poi basta, passare ad altro, mettersi uno zaino in spalla e stare in giro per anni. Ha senso crescere un figlio per sempre? Certo che no, non è un'estensione di noi stessi. Allora perché facciamo finta che ci siano prolungamenti della garanzia, periodi indeterminati, ci prendiamo in giro su quello che siamo in grado di fare e per quanto possiamo continuare senza stancarci, senza crollare, senza diventare parte integrante di quel che facciamo, perdendo noi stessi nella trappola di amnesie volontarie. A me sembra testardaggine, un combattimento fra galli, la lotta istintiva che viene innescata per la gioia degli scommettitori, un rito spartano da tragedia classica che dopo un po' non fa più ridere, nemmeno piangere, non fa più niente, ci lascia indifferenti, esausti, come dopo aver letto notizie orribili, tutti i giorni leggiamo notizie orribili mentre beviamo il caffè, sdraiati sul divano, non ci interessa più niente, darci quelle notizie serve solo a darci argomenti per fare conversazione. Leggi di bambini che muoiono, anche oggi un bambino di due anni cade all'indietro dalla sedia e finisce con la testa in un mobile a vetri morendo con la carotide tagliata. Noi riceviamo la notizia e passiamo oltre, come se cambiassimo frequenza col telecomando dell'attenzione, della riflessione. Non siamo cattivi ma assuefatti, colmi fino all'orlo, anestetizzati dall'abitudine.

Viviamo dentro a un videogioco, dentro a molti videogiochi, che sono film interattivi dove siamo protagonisti immortali, quando muori premi reset e carichi l'ultimo salvataggio effettuato. Per quanti sbagli tu possa compiere ti viene permesso di arrivare alla fine comunque, imparando dai tuoi errori, perseverando, con l'insistenza irrazionale di un animale che lotta per istinto. Il videogioco horror dove accadono cose terribili intorno a noi solo per ricordarci che dobbiamo essere forti, trovare la via d'uscita prevista dal creatore del gioco, non perdere la speranza e la prontezza dei riflessi, si deve restare concentrati a godersi l'intrattenimento per cui abbiamo pagato. E il videogioco romantico per eccellenza, con fate draghi cavalieri elfi, amore e magia, grandi soddisfazioni, riconoscimenti, arrivare alla vecchiaia come quegli indiani in comunione con gli spiriti al punto da dire 'oggi è un bel giorno per morire'. È un meccanismo automatico che non ha responsabili, che non sottende volontà o responsabilità, si tratta del grande respiro del mondo, lo spirito dei tempi, la necessità degli equilibri. Noi siamo incasellati in un meccanismo che noi stessi difendiamo perché sentiamo di farne parte, ci sentiamo in debito e in colpa nei suoi confronti, abbassiamo lo sguardo in sua presenza, siamo ancora bambini, siamo tutti bambini, anche e soprattutto chi è convinto di no. Siamo bambini che passano la vita a cercare di capire come si fa a smettere di essere tali, che provano a smettere di esserlo, che si convincono di esserci riusciti. Ma se davvero non fossimo più bambini stamattina dovremmo essere tutti immobili a fissare nel vuoto, pensando alla gola squarciata di quel un bambino che muore davanti agli occhi dei genitori, agli occhi dei fratelli, ai nostri occhi.

E invece non ci lasciamo distrarre, siamo troppo coinvolti dal gioco che teniamo fra le mani, siamo troppo impegnati a smettere di essere bambini, di fare i bambini. Non ci poniamo limiti per niente tranne che per l'essere bambini: deboli, ingenui, emotivi, ignoranti, sensibili, eccessivi. Non ci poniamo limiti quando si tratta di uccidere o di bruciare. Lavorare per sempre, arrivare dove nessuno è mai giunto prima, tutta la retorica illuminista e romantica del molto di più e molto più veloce. Alla mattina accendo il computer e vedo decine di email, commenti, il feed reader con centinaia di cose non lette, immagini non viste, battute a cui non ho riso, scandali per cui non ho storto la bocca, ingiustizie per cui non ho imprecato, pazzie che non mi hanno fatto portare le mani alla bocca o ai capelli. Dopodiché ci si aspetta che spenga e vada a buttare l'immondizia, a leggere un romanzo, a divertirmi, a fare il mio dovere di lavoratore/contribuente-consumatore. È come farsi dare la scossa, le frustate, e goderne, il masochismo del cittadino medio, obeso e depresso, in attesa di finire il gioco a furia di tentativi quotidiani, sveglia dopo sveglia, rito dopo rito, abitudine dopo abitune, senza mai averne abbastanza, senza mai arrivare a sazietà. Smettere è arrendersi, ritirarsi è perdere, bisogna stare in campo e guadagnare di più, produrre di più, battere i record, sconfiggere il nemico. Ma chi è il nemico? Siamo pieni di nemici invisibili e lontani, immateriali proprio come quelli dei videogiochi. Non sono avversari concreti, sono bersagli che ci servono per poter sparare a qualcosa che non siano i nostri famigliari, i nostri alleati, noi stessi allo specchio. Fatevi un elenco di tutti i nemici, partite pure dalla preistoria, dalle liti fra tribù per l'uso esclusivo di una sorgente. Arrivate alle crociate, alla guerra fredda.

Non è più nemmeno questione di etica in un mondo dove l'autorità non è legittimata e la morale è relativa. Non sappiamo più nemmeno per cosa stiamo lottando, per cosa valga la pena. Il benessere ha un costo non preventivato in termini di dipendenza e dedizione, di inquinamento e sovrappopolazione. L'illuminismo, dopo aver fallito imboccando soluzioni da socialismo scientifico nazista e comunista, sta mostrando la corda dell'idealismo utopistico anche nei modelli matematici che sceglie di utilizzare per spiegare la realtà. Da ogni parte arrivano bordate delusorie (de delusion, che in inglese è una parola che indica una malattia), proprio nel momento di massimo splendore della civiltà illuministico-romantica, proprio quando l'intera umanità si è messa a praticare il culto del benessere, con l'entusiasmo di chi non vede un limite alle possibilità umane, di chi utilizza una matematica che non prevede vincoli materiali, statistiche basate su condizione temporanee del passato e del presente che non dureranno in eterno. Non siamo capaci di ipotizzare i limiti e irridiamo chi ci prova, gli diamo del thomas maltus, gli diciamo che ci saranno tecnologie innovative e che non è aver fede ma ragione perché in passato ci sono state, in passato è andata così. Illuminismo romantico che si aspetta una schermata di aiuto, un romantico intervento divino o la scoperta scientifica del cheat godmode, e nel frattempo va avanti come ha sempre fatto, in bilico sull'overdose, ti alzi dal letto che sei già stanco, lavorerai per pagare debiti, il futuro che amavi tanto adesso ti tiene in pugno, corrergli incontro diventa sempre più faticoso, il videogioco non è più così bello come quando ci hai giocato la prima volta, ignorare bambini che muoiono di morte violenta, per distrazione, per stupidità, ignorare i bambini dicendoti non è colpa mia, non è colpa di nessuno, il videogioco ce ne vuole per far finta che ti piaccia ancora, devi mentire quando te lo chiedono, devi continuare a sorridere, a mostrare sicurezza, a comportarti da adulto, non puoi spegnere il computer, non puoi nemmeno dire va bene ci gioco ma solo fino a questo punto, fino a quando ne ho avuto abbastanza, no, devi finirlo, devi continuare fino alla morte per non sentirti una nullità.



lunedì 16 gennaio 2012

guardi l'uccellino e dica cheese

Siamo incapaci di moderazione. La moderazione è un lusso che i depressi e i bipolari non possono permettersi. C'è un prima e un dopo, il prima è quando le malattie non esistevano, non si erano formate o non erano state create, non avevano un nome, non erano classificate, descritte, sottoposte a rigidi programmi di sperimentazione, studiate e interpretate alla luce di. Nel prima c'è una cosa che si vuole oppure no, la semplice logica shopenhaueriana della volontà come sovrano superegotico del desidesirabile, dove una cosa è buona o cattiva prima di una morale a decretare giudizi condivisi. Nel mondo infantile del prima si tratta di impedire che venga esaudita la volontà di cose immorali o obbligare l'avverarsi di cose moralmente encomiabili, perché quasi mai si vuole ciò che è bene e non si vuole ciò che è male. Non si vogliono medicine amare, si vuole prevalere sull'avversario. Il prima è quando si ipotizzava che la volontà individuale fosse naturalmente erronea, il male necessario del mondo, il dopo è quando si ipotizza che la volontà individuale vada distrutta a favore del bene comune, il paradiso in terra. Il dopo non è finito, è ancora in vigore, un dopo in cui dalla moderazione della volontà si è passati all'eccesso di moderazione, smarrendoci in alienazioni pubbliche e private dove ci si sfoga in termini di autodistruzione per compensare una volontà annichilita e favorire la completa vittoria di una qualunque dittatura morale.

Non siamo più capaci di alcun tipo di moderazione, perfino la moderazione deve essere eccessiva o non essere. La modestia deve essere così manifesta da diventare motivo di vanto: ecco il modesto vanitoso. Qualsiasi presunta virtù diventa un pretesto per l'esibizione di capacità superiori in una competizione senza premi per i vincitori. Si corre a vuoto come criceti nella ruota della gabbietta, e qui entra il gioco il relativismo morale, perché quando c'è un codice ben preciso di comportamento, per cui la società premia o punisce, e viene messo in discussione succede che chiunque può scegliere i propri obiettivi, utilizzare la volontà non come nel prima, dove volontà e necessità morale si riconoscevano a vicenda, ma come prima del prima, quando il mondo era selvaggio e i rapporti umani animaleschi, quando la volontà non riconosceva alcuna utilità a regole con finalità sociali, di gruppo o di specie, superiori alla dimensione del singolo, pre-umanistiche e pre-illuministiche. Inseguendo la supremazia della morale e del sociale sulla volontà e sull'individuo, abbiamo finito per dimenticare la funzione dell'una e dell'altra, abbiamo perso la capacità di stare in equilibrio e di cercare un significato all'interno di un concetto di salvezza in grado di prescindere dalla durata della vita, dalla salute del corpo, da tutta una serie di variabili totalmente legate alla sfera individuale. Noi oggi cerchiamo la salvezza nelle macchine, nella medicina, nella ricchezza, nel successo, nel consumo, nello svago, in tutta una serie di oggetti concreti che ci lasciano vuoti e insoddisfatti.

La moderazione oggi è debolezza, è perdita, è sputare sul diritto all'eccesso che ci vengono garantiti dal progresso scientifico, dal benessere economico, dalla libertà giuridica. Tutto deve essere vissuto con gioia e trasporto, come ho detto in apertura: chi non è contento è malato. Abbiamo vissuto una ubriacatura senza precedenti grazie alle possibilità offerte dal petrolio, la quantità di lavoro che viene svolta bruciando petrolio, la quantità di prodotti che viene costruita trasformando il petrolio, rispetto a gas e carbone il petrolio ha fatto una differenza enorme nel rendere ricca una piccola parte della popolazione mondiale. Non so se vi rendete conto che lo stile di vita dell'uomo occidentale non è sostenibile a livello globale. Questo particolare concreto ma inconfutabile viene sistematicamente ignorato, tu lo dici e chi hai davanti magari lo sente, con le orecchie, ma il suo cervello si rifiuta di processare l'informazione. Non ci salverà l'energia solare, l'idrogeno, l'atomica, le maree, niente, ok? Chiaro? Non esiste alcuna fonte di energia, fisicamente, son leggi fisiche, non sto dicendo che non si è ancora scoperta, non può proprio esistere niente che vada a sostituire il petrolio. Ci sono voluti milioni di anni, un'intera era geologica, il carbonifero, per creare i giacimenti di combustibile fossile che stiamo consumando. Poi basta, fine, quando abbiamo bruciato tutto basta, finisce una parentesi storica dell'umanità che non potrà mai ripetersi, non sto scherzando. Per cui non sto parlando di cultura come di qualcosa che non ha attinenza con la realtà, quando parlo di prima e di dopo, della moderazione nel 2012, parlo di cose concrete. La cultura ti aiuta a capire il mondo in cui vivi, non è qualcosa per noiosi sfaticati che si fanno le seghe mentali.

Non sappiamo darci limiti in una miriade di situazioni, la pubblicità, che è la più evidente, la medicina (tra poco batteri e virus l'avranno vista sugli sforzi scientifici degli ultimi secoli e non sarà sufficiente l'ottimismo e la fiducia nel progresso a impedire agli idealisti sognatori di sbattere la faccia contro la dura realtà), la conquista dello spazio (parlano di viaggi spaziali che durano anni, secoli, dove nello spazio tutto è lì solo per uccidere la vita, la fragilissima vita di noi esseri umani: le radiazioni, la temperatura, le distanze, la gravità stessa), la stessa concezione di società andrà in frantumi alla prima sollecitazione perché è basata su presupposti artificiali e fa affidamento su condizioni più che provvisorie. Tutto in questo periodo storico è all'impronta dell'esagerazione, una continua scommessa al rialzo su se stessi, una febbre che porta a dare confidenza sempre maggiore a rischi esorcizzati con una risata, l'intero processo di razionalizzazione è intrinsecamente assurdo perché implica profezie che si autoavverano. La parola d'ordine è quella di evitare il panico, evitare il panico dei mercati finanziari, evitare il panico nella popolazione, affrontare costi previsti e perdite calcolate per impedire il collasso del sistema per tutto il tempo possibile, ritardare l'inevitabile in una corsa inutile e ridicola contro il tempo.

La moderazione consiste anche nella capacità di reazioni composte e nel coraggio della verità. Ma noi, oggi, se creiamo un frullatore parliamo subito di futuro, di futuro con uomini frullatori o schiavi dei frullati. Facciamo il tipico errore della scienza statistica: ci basiamo sul passato per fare previsioni. Non c'è niente di più sbagliato ma è così che funziona il cervello umano e, peggio ancora, è così che funziona la testa di chi vuole usare la scienza per spiegare tutto, il determinismo scientifico per cui gli esperimenti ripetuti dimostrano e assurgono a legge universale. E invece la scienza non è uno strumento valido per tutto, non lo è di sicuro per dare salvezza all'uomo, perché anche di salvezza ha bisogno l'uomo, e privarlo del diritto a trovare salvezza fuori dalla scienza è un delitto peggiore che dare del malato a chi non abbraccia con gioia la religione dell'ottimismo smodato e immotivato nell'uomo. Il neo-umanesimo di cui si inizia a parlare deve stare molto attento a specificare nei dettagli non tanto cosa vuole diventare da grande, ma cosa non vuole diventare, perché noi uomini se facciamo guerra oggi la facciamo con l'escalation, se ci raccontiamo una storia lo facciamo con viaggi dell'eroe intrisi di romanticismo tragico, oggi tutto deve nutrire aspettative esagerate e chi ne resta deluso è depresso, chi viene schiacciato dal peso dello stress è demotivato, è malato, deve curarsi, il realismo e la moderazione sono dannosi e repellenti, il pessimismo è contagioso e pericoloso. La religione dell'ottimismo dice che se pensi positivo ti accadono cose belle e il suo rovescio della medaglia, la superstizione del pessimismo, dice se pensi negativo verrai punito. In ogni caso non ti moderare mai, 110%, dacci dentro, sii te stesso, non ammettere mai una debolezza, se non puoi essere santo allora pecca fortissimamente e con la massima convinzione, la mentalità del vincente che non si arrende mai, il mondo è ai tuoi piedi, veni vidi vici.


martedì 10 gennaio 2012

con un poco di zucchero la pillola va giù

Prendiamo il concetto di lavoro, e quindi di tempo libero, di salute, e quindi di benessere. Ora descriverò come la cultura odierna interpreta, o meglio impone all'uomo intellettualmente passivo, l'unità di misura delle masse, l'uomo che se il suo cervello avesse le mani non saprebbe nemmeno allacciarsi le scarpe, l'uomo che al massimo ri-produce il pensiero altrui mediante citazioni, analisi comparate, approfondite critiche, ma di suo non incrementa il patrimonio culturale in senso qualitativo, può solo aumentare la quantità di materiale fino a soffocare e schiacciare qualsiasi tentativo di comprensione al di fuori di un circuito ieratico, da casta mandarina, dove perfino il linguaggio non è più immediatamente accessibile e fruibile da un postulante cadetto apprendista. La cultura anch'essa come prodotto, come avviamento aziendale protetto da accordi di riservatezza, segreto industriale, know-how e capitale immateriale che si ammortizza vendendo nozioni a clienti bisognosi di un certificato per accedere ai club esclusivi delle professioni. Anche la cultura ha subito lo stesso processo che la cultura stessa ha riservato all'oggetto del suo agire, alla ragione della propria esistenza: al sapere. Il sapere esce dal trattamento materialista come merce, è la notte delle vacche nere, dove tutto è merce, tutto è concreto o non è, ha significato solo in quanto siamo noi a dargliene uno e tutto morirà con noi e niente esiste al di fuori di noi. Ma scendiamo di un gradino, parliamo di concetti più semplici: lavoro, salute, anche il singolo che viene condotto al guinzaglio dai padroni del vapore culturale e intellettuale, l'atomo sociale imbevuto di propaganda che è viene chiamato a fornire la risposta predigerita a domande retoriche di contenuto morale.

Lasciamo perdere la cultura, che è noiosa per definizione, e facciamo due chiacchiere sul lavoro. Oggi cos'è il lavoro? Oggi è uno stile di vita e una garanzia di reddito. Addirittura noi ce l'abbiamo nella costituzione, il lavoro, altri ci hanno messo la felicità, la giustizia, l'amore, noi ci abbiamo messo il lavoro. La nostra economia consiste nel dare soldi ai poveri affinché svuotino i magazzini delle fabbriche permettendo che i loro soldi vengano usato per pagare gli operai. Non produciamo merce, come altri paesi, no, da paese socialista che si rispetti noi produciamo lavoro. Gli altri producono elettronica, chimica, siderurgia, noi no, noi ci proponiamo sul mercato mondiale come consumatori, diciamo ai nostri amici produttori di merci che loro senza di noi vanno in recessione, che hanno bisogno di qualcuno che compri e che consumi, e che devono finanziarci. È così che ci si trova un debito pubblico enorme, finanziando a debito il benessere e scaricandolo sulle generazioni future, mal che vada, perché a un certo punto magari dichiari fallimento, consolidi, inflazioni, svaluti, insomma chi ha dato ha dato chi ha avuto ha avuto. Potrei spiegarvelo in modo incomprensibile, usando paroloni, ma ho lasciato a casa il mio costume da mandarino alla corte dell'imperatore. Ma torniamo al lavoro, stavamo parlando del lavoro, oggi il lavoro non è l'unico modo, faticoso porco e ingrato, di procurarsi da vivere, oggi il lavoro è una componente dell'equazione benessere sociale nell'ambito di una politica totalitaria e assolutista nata dalla decomposizione del romanticismo in materialismo e dalla scoperta del petrolio. È semplice, lo può capire anche l'uomo che non ha mai aperto un libro se glielo spieghi con parole semplici e facendo esempio concreti, solo che se glielo spieghi poi come fai a guidare una società che non fissa il telescermo, non guarda unicamente nella direzione in cui punti il dito? Tu, uomo che ti credi al culmine di una parabola evolutiva, devi continuare a sognare e obbedire, non devi sapere, non devi capire, non devi nemmeno pensare, devi solo lavorare e comprare, e nel tempo libero devi fare figli.

Infatti limitiamoci a parlare del lavoro, ma anche della salute. Oggi la salute è un dovere, i medicinali sono strumenti che danno accesso alla bellezza, intesa come status symbol. Se sei bello allora sei sano, se sei brutto o vecchio allora sei malato, contaminato, marchiato dalle cicatrici del vaiolo, sei butterato come un delinquente un malvivente un avanzo di galera, non hai più diritto di lavorare e, lo sanno tutti, quando smetti di lavorare muori, vuoi forse morire? Sei depresso, mentalmente disturbato, hai tensioni suicide? Se sei bello allora sei anche sano, sei equilibrato, sensibile e intelligente, mente sana in corpo sano, sei onesto e affidabile, sei 'buono', la qualifica morale che si misura da una parte in termini di successo professionale – sei persona che fa un lavoro prestigioso, persona che viene ricompensata dal mondo con grosse somme di denaro per bilanciare i suoi sforzi altruistici - dall'altra parte in termini di estetica – sei persona elegante pettinata profumata bella pelle aspetto giovanile muscoli tonici, sei persona che viene premiata dal mondo come frutto dell'incesto meccanico fra natura e scienza, con l'eterna giovinezza il buonumore la saggezza divenuta realtà nell'incarnato tinta delicata. Abbiamo dunque lavori dai connotati esoterici (con linguaggi dedicati e vocabolari iniziatici), lavori che identificano il senso della vita con il proprio ruolo all'interno di una ragnatela relazionale fatta di riti e apparenze, abbiamo ospedali-spa, farmacie-profumerie, la malattia che diventa esperimento di estetica del raccapriccio e salute che diventa esercizio di accanimento salutista. Tutto questo è esplicita rappresentazione del dominio culturale del fine a se stesso, e qui si entra nel filosofico, l'impossibile autosufficienza di un umanesimo privo di un aggancio nell'assoluto, non necessariamente ontologico, qui si declina vistosamente l'ideologia del relativismo nella concezione del lavoro e della salute dei nostri giorni, ma è un cancro culturale con metastasi diffuse nei concetti più disparati, prendiamo se volete anche gli opposti di lavoro e salute, prendiamo tempo libero e benessere (benessere come mancanza della necessità di un prodotto salutare).

Il tempo libero oggi è noia, è spreco di vita, è spreco di denaro come mancata occasione di acquisto e consumo. Oggi il valore della vita è dato dalla capacità di spesa e vince chi allontana nel tempo la morte di più perché così facendo avrà avuto più tempo per accrescere il reddito e i consumi, migliorando la qualità della sua vita, accrescendo il proprio benessere, massimizzando la propria soddisfazione. Quando dal sociale si scende all'individuale, con il destino della masse che si dispiega insieme al divino nella Storia, da Hegel a Marx, e diventa malessere esistenziale in forzature razionali pragmatiche e disumanizzanti, ci accorgiamo che qualcosa non funziona, l'uomo decerebrato intuisce che l'origine di una sensazione di profondo disagio viene da fuori di sé ma cambia idea quando la grande voce tonante del grande fratello mediatico gli assicura che è lui, è colpa del suo peccato originale capitalista, legato all'egoismo, al mettere le proprie esigenze davanti a quelle altrui, è lui a essere disfunzionale, bipolare, antisociale. Non c'è bisogno di sottolineare quanto sia religiosa la pretesa del materialismo di essere orgogliosamente ateo. Assistiamo alla sistematica confusione del paradossale in un sistema che premia l'assolutismo totalitario fingendo di essere la risposta razionale alla fragilità dell'individuo, proprio come una chiesa confessionale, dove la comunità accoglie in seno con amore l'eretico che sia disposto a pentirsi a diventare un fervente adoratore, un martire volontario, trovando finalmente un senso alla propria individualità problematica annullandola nel sociale protettivo di un amore severo post-genitoriale per adulti rimasti orfani. La differenza con una chiesa è che lo Stato (o un'organizzazione criminale ben organizzata) ha la forza fisica di imporre le proprie leggi, farle rispettare, portarti via i tuoi averi e sbatterti a marcire in prigione (o farti frequentare per decenni i tribunali per difenderti, perché altrove si deve dimostrare la colpevolezza, da noi si deve provare l'innocenza, da noi finisci in carcere, ci stai dei mesi senza essere stato processato, e poi si vedrà, con calma). Non sto dicendo che l'anarchia (già me li vedo i trinariciuti sbomballare di far west e liberismo) sia preferibile, lo specifico per prevenire i soliti benaltristi e gli specialisti di trucchi retorici sempre in agguato.

Ma dicevo il tempo libero, oggi bisogna riempirlo. I calvinisti e gli stakanovisti a braccetto, la caccia al debosciato, all'approfittatore, al magnapane a tradimento, e i mandarini della cultura, che se il loro cervello avesse i piedi li userebbe per inciamparci, non ti dicono niente, non ti spiegano niente, a te uomo formica in balia degli eventi, a te che annaspi alla ricerca di una spiegazione a misura della tue limitate capacità mentali, non ti fanno dare un'occhiata la manuale delle istruzioni. Andiamo avanti a chiacchierare, parliamo del ruolo dell'intrattenimento come prodotto di consumo misurato in termini di controvalore temporale, nel senso che ogni attività richiede tempo e il valore del tempo aumenta man mano che lo si cede come moneta invisibile. Il tuo tempo libero è vuoto se non ti intrettieni, e il vuoto significa cadere nel vuoto, significa il nulla, la morte, tu se hai del tempo libero e non lo sfrutti vuol dire che hai del tempo morto e il tempo morto uccide anche te. Il tempo libero deve essere vivo, non devi sprecarlo, devi investirlo in attività ludiche e alienanti, in questo risiede la denuncia di nichilismo e cultura di morte ripetuta molte volte da una minoranza di esponenti di religioni non (più) statualizzate, una cultura figlia menomata del romanticismo in cui viene sublimato il tabù della morte reale, concreta, pur incevandone il consumo in dosi industriali sotto forma di cronaca o fiction. È uno dei molti controsensi di cui ti ho già detto poco fa, uomo qualunque, paradossi sviluppati dall'evoluzione di una modalità superficiale di esercitare il pieno dominio di una comprensione, pur necessariamente limitata, della realtà. È la visione di una barbarie culturale sostenuta dalla tecnologia petrolifera, materialmente prolifica di merci ma intellettualmente sterile. È la modalità estintiva del piacere epicureo che si trasforma in edonismo onanistico, del sacrificio stoico che diventa spettacolarizzazione dell'altruismo, una imposizione egalitaria che sacrifica la libertà individuale in nome di una libertà collettiva di là da venire, che tarda per via di attriti conservatori e controrivoluzionari, una dispersione altruista di risorse sottilmente diverso dall'egoismo utilitarista quando si rivela intrinsecamente costruttivo e accumulante. Caro uomo consumatore lavoratore che non capisci neanche lontanamente di cosa sto parlando, io sono contento per te, ti voglio bene, beati i semplici, vorrei essere nei tuoi panni, la conoscenza aumenta il dolore, la scuola non dovrebbe essere obbligatoria, dovremmo viver come bruti, ho questo dubbio a volte che saremmo molto più felici se vivessimo nel medioevo, nell'età del bronzo, nella preistoria.

Mi sono distratto, dicevamo del lavoro, della salute, del tempo libero, del benessere, è proprio la ricerca spasmodica di un benessere fatto di oggetti inutili, di fatto, che non aumentano il benessere spirituale, non ti fanno sentire meglio, non ti rendono felice, anzi, ti senti male all'idea che devi lavorare per pagarli, per comprarne di nuovi, che ormai non puoi farne a meno, ti servono per lavorare, per vivere, sono il tuo polmone d'acciaio. Il benessere non è più inteso come libertà dal dovere ma come diritto al lusso, tutti hanno diritto a tutto, nessuno vuole doveri quando può avere diritti, e il tempo che una volta veniva dedicato all'approfondimento, al pensiero, al sentimento, oggi viene dedicato alla cura del corpo, alla messa a punto dello strumento di lavoro per eccellenza, il proprio corpo, da utilizzarsi per avere successo, vale a dire un lavoro giocoso che frutta fama ammirazione, in una parola audience, e soldi a palate dagli sponsor pubblicitari da spendere in benessere fisico. Questo è il libro che ci leggono i mandarini prima di metterci a letto, queste sono le favole che fanno di noi cavalieri e principesse, con animali parlanti e cattivi destinati a perdere. L'attività di arricchimento interiore fatto con le proprie mani, senza lasciarsi imbottire passivamente dalla merce dei mandarini, viene oggi percepito come spreco di energie. Il tempo che una volta veniva giudicato immorale ogni volta che serviva a divertire - che viene da diversivo, da distrazione, distogliere l'attenzione, disinteressarsene, non porsi domande, ignorare apposta, fregarsene - oggi viene esaltato come forma d'arte esistenziale, e lo slogan dei mandarini è: lasciaci lavorare, non ti preoccupare, ce ne occupiamo noi, tu pensa solo a divertirti.


lunedì 9 gennaio 2012

L'era della congestione

La società è anche un luogo affollato, è prima di tutto un luogo affollato. Prima di essere un'astrazione, una categoria, un modello, la società è un posto fisico condiviso, di natura pubblica, come una piazza concreta o virtuale dove si forma l'opinione dominante mediante il dibattito fra i campioni (nelle scuole americane è materia di studio, il sostenere una tesi, l'argomentare, da noi si fa casino e vince chi urla di più o picchia più forte, e anche questa è una differenza in termini di civiltà, se non di mentalità radicata nel passato, dove da una parte si lottava per libertà e indipendenza dalla monarchia, di qua si combatteva per sostituire il potente altrui con il potente del nostro campanile). Mi sono perso, dicevo la società come luogo fisico di incontro e confronto, dove matura e si svolge la vita collettiva, dove si prendono decisioni che riguardano tutti e diventa importante uscire vincitori nella battaglia per il controllo sulle risorse pubbliche. Chi domina la piazza ottiene il diritto al comando, è così da sempre, sia che lo ottenga da dittatore utilizzando esercito e polizia segreta, sia che ottenga il voto della maggioranza con gli strumenti della propaganda direttamente, con la complicità dei media, o indirettamente, facendo leva sul populismo. La società come luogo fisico è cambiata nel tempo, viviamo l'era della congestione informativa, dove è ormai impossibile avere certezze maturate in ambito razionale sia per carenza di strumenti intellettuali nella gente (non è vero che miliardi di persone non possono sbagliarsi tutte assieme, che la cosa giusta da fare emerge dai grande numero di chi esprime una preferenza a riguardo) che per quantità di materiale oggettivamente impossibile da assorbire. Per cui ci si schiera e basta, a prescindere, si decide che di qua ci sono i buoni e di là i cattivi e si discrimina fra le migliaia di fonti per selezionare quelle adatte a sostenere la nostra squadra, go go go party go!, la politica da stadio, ma neanche, che gli atleti li selezionano, qui invece ci va chiunque riesca a garantire un ritorno economico in termini di legislazione favorevole ai sostenitori della causa.

Oggi anneghiamo nell'informazione selezionata. Ormai non è nemmeno più chi produce l'informazione a fare al differenza, non servono articoli lunghi e approfonditi dove si riferiscono e si spiegano i termini della questione, lasciando addirittura al lettore la possibilità di farsi un'idea propria, no, adesso si scrive direttamente l'invettiva, l'arringa, si dà direttamente al lettore il materiale da ripetere a pappagallo contro i tifosi dell'altra parte politica, anche se nella realtà non li incontra mai, le persone al bar, all'edicola, in fila alla cassa, non discutono di politica, non si strappano i capelli a vicenda sulla notizia scandalosa del giorno. I più agguerriti si ritrovano in piazza, appunto, per riconoscersi fra di loro, per gridare tutti insieme arbitro venduto, viva noi abbasso voi, senza che ci sia mai, nelle piazze, uno scontro fra tifoserie che non sia destinato a sfociare nella guerra civile, perché o sei minoranza, e allora vai in piazza a litigare contro la maggioranza dei votanti e contro la democrazia, o sei maggioranza e allora vai in piazza a manifestare contro te stesso, o sei circa la metà degli aventi diritto e allora cosa facciamo, ci ammazziamo l'uno con l'altro? Questa è la piazza dei nostri giorni, il luogo fisico in cui si concretizzano i rapporti sociali nell'era della congestione informativa, un posto diverso da quello di secoli fa solo per via della quantità di gente che la occupa e della quantità di voci che si sovrappongono e gridano per farsi sentire, e internet come piazza virtuale e globale ne è l'apoteosi. Non è per nulla diversa dalla piazza di secoli e secoli fa, è ora di finirla con la presunzione dei figli del petrolio di credersi antropologicamente migliori dei loro predecessori e dei contemporanei che non li seguono nelle loro scelte di pensiero, perché lo schema gregario e acritico dell'opinione pubblica si estende alla miriade di caratteristiche private del vivere. La pressione conformista assume connotati totalitari nel momento in cui la piazza, intesa come quella parte di società che si esprime sui canali mediatici con la pretesa di rappresentare un popolo intero, ti mette di fronte all'evidenza che il mondo è pieno zeppo di gente che ti dà molto fastidio, basta sapere che c'è al mondo gente così e diventa più brutto vivere, più difficile sorridere. Non è come uscire di casa andare nella piazza semideserta del tuo paese e incontrare uno che suona il clacson, sputa per terra, che tu pensi va bene, è uno, uno solo, non vale la pena di punirlo e di rovinarsi l'umore. La piazza mediatica ti ripete, giorno dopo giorno, lo fa da decenni, lo fa sempre di più, con incremento esponenziale, che i tifosi della tua o altrui squadra sono tanti, non è uno, sono milioni, sono dappertutto.

La canea dell'informazione ti priva oggi più che mai della rassicurante e confortevole sensazione di avere uno spazio vitale inviolabile, una dimensione personale, sacra e intoccabile, di libertà e purezza, dove ti è possibile e garantita un'esistenza in piena e totale serenità. La convivenza pacifica viene avvelenata da una costante necessità di distinguo, richieste di schieramento, chiamate alle armi simboliche. La piazza odierna ti segue dentro casa, ti rende dipendente, ti fa compagnia, i media veicolano e amplificano l'infezione costruendo mitologie tascabili a breve scadenza, distruggendo qualsiasi tentativo individuale di integrità responsabile, di maturazione creativa. Col tempo il canale diretto tra la bocca del potere e l'orecchio del suddito si è accorto della pericolosità del mezzo e si è trasformato per disinnescare l'arma che ha permesso e permette con una facilità agghiacciante l'installarsi delle dittature totalitarie. Per impedire l'abuso di un potere distruttivo abbiamo sacrificato la necessità di un potere costruttivo. Nell'era della congestione ci attacchiamo a mammelle sempre più sterili, rifiutandoci di abbandonare il nido, di ammettere l'aver imboccato un vicolo culturale romantico quanto si vuole ma cieco, è un fatto. Non ci si vuole arrendere all'evidenza, non si vuole abbandonare il benessere fittizio rubato ai posteri per tornare indietro nel tempo a imboccare una strada diversa da quella del Progresso di cui ci ostiniamo a riempirci la bocca a sproposito. Passiamo a speculazioni di seconda mano, poi di terza e di quarta, fino a privare di senso e significato qualsiasi tentativo di comprensione, inficiando il concetto stesso di gnosi, irridendo gli sforzi di chi si illude che esista la possibilità di un fondamento. La decadenza del pensiero occidentale si misura non solo nelle crisi economiche, di valori, nel degrado dei costumi o nell'inquinamento, ma anche nella fragilità, nella paura, nella dipendenza, nell'incapacità dei singoli uomini, come elementi di un corpus comunitario, di abbandonare una strada senza uscita ma comoda, accogliente, fresca e umida e buia, perfetta per nascondersi e rintanarsi. Il coraggio di ridiscutere i principi e risalire alle radici è come trovare ogni mattina un motivo valido per svegliarsi.