mercoledì 23 novembre 2011

La speranza è rimandata a domani

C'è stato un periodo che tutti davano l'idea di aspettare il parto, la mezzanotte di capodanno, l'estrazione della lotteria. Ti dicevano vedrai adesso che c'è l'internet, vedrai che cambiamenti, vedrai cosa scoppia, la rivoluzione. Passano gli anni e pur di continuare a crederci mi vengono a dire che è grazie a internet che in certi paesi ci sono manifestazioni, ci sono rivolte, che son cose che tutti aspettavamo da chissà quanto tempo e finalmente, grazie a internet, adesso stanno succedendo. La musica è un file, il film è un file, il libro è un file, siamo liberi dai supporti, non sei contento? Le probabilità di una tempesta magnetica dovuta a un brillamento solare sono molto basse, non c'è bisogno di stampare tutto per paura che vada via la luce o che si rompano i computer. Quando, rivoluzione dopo rivoluzione, internet non combina niente di spettacolare e il mondo rimane il vecchio bastardo di sempre, in quel momento un po' di imbarazzo si percepisce nei meno invasati, nei fedeli meno accaniti, in coloro che tengono da parte un margine di ragionamento nel loro buttarsi a piedi uniti nell'avventura del momento. Perché là fuori le persone normali sono tante, sono quelli che garantiscono la sopravvivenza delle competizioni sportive, che alimentano il commercio, che godono ricevendo sogni in dosi pubblicitarie quotidiane.

Parlo degli esseri umani, di comuni esseri umani, della gente qualsiasi. Non facciamo finta di non renderci conto di cosa è davvero la gente, là fuori, quella che non ha tre lauree, quella che non discute di politica nei salotti dell'alta società ma al massimo scende in piazza a far casino per conto del populista di turno, la gente che non scrive, non legge, al massimo appare a fare pirlate in tv, la gente che poi anche quella che si tira fuori dalla massa, la gente che si veste da aristocratica e non sa niente, sicura che l'immagine nella società moderna basti e avanzi, la gente che sta recitando la parte del benestante privilegiato e si trattiene, evita gli eccessi per lavoro, pubblicamente, e in privato si dà o comunque si darebbe, se solo riuscisse a concederselo, ai festini sessodroga, alle pokerate, alla guerra, al di tutto e di più, devozione remissiva agli istinti più bestiali, alle peggio tentazioni distruttive e autodistruttive. È così che funziona la mente di tutte le creature viventi e l'uomo può ritenersi al centro dell'universo solo nella misura in cui riesce a concepirsi differente dagli animali, evoluto, portatore sano di scintilla divina, a costo di vivere nell'illusione, quella che fa credere che sia solo questione di tempo e tutto finirà per il meglio, di questi tempi, mentre secoli fa l'opinione era invece che tutto sarebbe finito in un gran botto con giudizio morale a seguire, come nelle trasmissioni dove si critica e disserta su xfactor o il grande fratello.

Adesso che ci siamo intesi sulla gente, quella che sospira leggendo le riflessioni sull'innamoramento di Alberoni (bellissime, fantastiche, se sbagli a parlare magari ti becchi una querela e noi non la vogliamo, una querela, quindi Alberoni per noi è un fottuto genio, lo amiamo), la gente che guarda i film che fanno molto ridere o molto piangere, le emozioni, ah, che gran cosa le emozioni, i sentimenti, che senti le farfalle nella pancia e i brividi e scarsa salivazione e tremolio alle gambe, no, quella è ricaduta sul sistema nervoso centrale di una lesione subdurale, ma non son pratico, forse mi confondo, insomma tutto ciò che non implica la fredda analisi di una realtà deludente e priva di speranza, tutto ciò che invece stimola il cervello a produrre sostanze legate alla tranquillità, al desiderio sessuale, all'appetito, al buonumore, sono ormoni, enzimi, sono gli stati mentali che rendono le droghe, dall'alcol alla metanfetima, dall'aspirina alla morfina, così studiate, sperimentate e apprezzate. Parliamo di gente drogata e assuefatta da questa o quella cultura, che sia il millenarismo o il romanticismo, che sia il sogno americano o la scienza sociale nazi-comunista. La gente è questa, non veniamo a raccontarci che là fuori è pieno di asceti e cervelloni, non prendiamoci in giro ipotizzando un'umanità da fantascienza, evoluta al limite della perfezione o sul percorso che conduce a un paradisiaco futuro terreno ricolmo di meraviglie.

Ogni volta che c'è qualche novità si registra l'eccitazione degli attendisti, degli assuefatti alla droga dell'irrazionale ateo e mondano, di quelli che si ammazzano in gruppo con veleno perché il santone ha previsto l'arrivo dell'astronave madre stasera dopo cena, quelli che si curano coi cristalli e vantano i pregi dell'omeopatia, quelli che si sentono blade runner perché abitano in un bilocale alla periferia di una grande metropoli e quelli che vivono su un pianeta virtuale frutto della loro fantasia e ti sembra di vedergli un triangolo sopra la fronte come ai Sims, quelli che sono così educati e civili e altruisti da rompere le balle a tutti su inquinamento, malattie, problemi, valori, una lista di scassamento di palle lunga così e poi scopri che sono i primi con l'armadio pieno di scheletri inconfessabili. E comunque di proposte alternative accettabili e prive di costi spaventosi zero, non ne hanno, ma l'importante è esprimere sentimenti positivi, non avere mai quel fastidioso e antipatico atteggiamento negativo, poco costruttivo e non collaborativo. Non venitemi a dire che la gente non è così, che bisogna avere fiducia nell'innata bontà umana, dal buon selvaggio al contratto sociale, ho letto qualcosa anch'io, non è che chi non la pensa come te è perché non ha letto questo o quel vangelo filosofico al quale nessuno può resistere più di un'ora senza convertirsi. Son tutte balle, se arriva una carestia la gente fa di tutto per non morire di fame. Se aggredisci lui o la sua famiglia quello ti salta al collo. La politica serve solo a fare il possibile per evitare che la gente si comporti come gli piacerebbe, o come si troverebbe costretta a fare, o come si sente giustificata a fare.

Ma veniamo al dunque, al fatto che la gente a un certo punto era ed è tutta lì davanti a internet in attesa del miracolo. Quale miracolo esattamente non si sa, qualcosa di esplosivo, culturalmente e politicamente parlando. Son passati decenni e ancora io non vedo niente, ma se ti poni come termine l'infinito qualcosa di positivo da imputare a internet vedrai che prima o poi succede. È come aspettare una crisi economica per poter finalmente dire visto, lo avevo profetizzato, questo dimostra che ho sempre avuto ragione a criticare il sistema vigente. Come lo scontro con il sistema editoriale, con l'accusa di scegliere solo roba adatta alla gente di cui sopra, roba da vendere per fare profitti, la solita menata contro il mercato capitalista, come se il mercato non fosse solo il luogo dove si incontra chi ha qualcosa da vendere e chi ha interesse a comprarlo. Ma oggi lasciamo da parte le solite stupidaggini sull'economia. Internet a ben guardare è piccolo, se togli la fuffa ti resta in mano poco o niente, io tutti queste menti geniali che si diceva non avessero successo perché venivano tenuti fuori dal sistema tradizionale per colpa di società segrete, alieni, gli speculatori, le corporazioni, la mafia, gli illuminati... Dove sono, adesso che sono liberi di esprimersi, tutti questi geni incompresi e vittime del sistema, perché io non li trovo nemmeno su internet. Delle due l'una: o internet come territorio per l'emersione spontanea delle eccellenze ha fallito, o non c'è nessuna folla di geni che attendeva solo l'avvento di internet per emergere. La gente è sempre pronta a lasciarsi illudere, a dare in pasto le proprie speranze al primo pifferaio che passa. Il paradosso è che il rifiuto del razionale è, in definitiva, la scelta più razionale, dato che l'alternativa è il nulla. L'evoluzione porta all'estinzione i meno adatti e la gente di cui sopra non si estinguerà mai per lasciar posto a una specie che può esistere solo nell'immaginazione di poeti e visionari. Il razionale è senza speranza, l'intelligenza ti uccide, se hai la fortuna di essere stupido è tutto più facile, hai solo da scegliere in quale presunta menzogna crepare, scommettendo su verità indimostrabili. Pensiamoci prima di inalberarci la prossima volta che uno stupido ci darà dello stupido, da un certo punto di vista bisognerebbe rispondere: grazie, non sarebbe male, se mi dai anche del gregario istintivo sono ancora più contento.


giovedì 17 novembre 2011

Gabbie confortevoli.

Un modello organizzativo viene implementato con esercizio d'imperio. Nessuna forma organizzativa spontanea si autoregolamenta in un ambiente libero da vincoli oggettivi. Internet non è un ambiente libero, anzi, è quanto di più lontano vi sia dal grado di libertà vigente nel mondo reale. Sono un po' stanco degli osanna a internet, dopo decenni dalla sua invenzione sarebbe ora di chiudere il party di benvenuto. Internet è un ambiente fortemente strutturato, non ha nulla di libero se non la finta sensazione di non essere individuabili, fatto ottenibile per mezzo di reti virtuali private che rendono immediatamente sospetto chi ne faccia uso. Se internet fosse anonima diventerebbe possibile compiervi reati nella certezza dell'impunità, e questo non lo vuole nessuno, o meglio, diciamo che nessuno è disposto a sostenere il crimine apertamente, a parte gli anarchici irriducibili che pur di avverare la democrazia diretta sono disposti a scendere a patti con la dittatura della maggioranza.

Questa favola di internet come humus di forme associative innovative che possono fare a meno dell'autorità, della gerarchia, delle regole formali è una bella favoletta che nasconde un pungiglione velenoso: le regole sono innestate nel sistema fisico, nell'hardware, nei chip, nelle centraline, nei firewall, nei grandi hub attaccati alle dorsali transoceaniche. Internet in realtà è una dittatura scientifica dove le regole stanno nella tua larghezza di banda, nei tuoi diritti di accesso, nella capacità di organi senza nome e senza volto di disconnetterti e di isolarti, di tracciarti e di monitorarti, di costruire dossier su di te analizzando la tua attività. Se succedesse nel mondo vero come ti sentiresti? Se sapessero sempre dove sei, cosa fai, cosa ti piace, che problemi finanziari di salute famigliari hai come ti sentiresti? Se potessero chiuderti in casa premendo un bottone come ti sentiresti?

Quindi perfavore basta con la religione del digitale, gli orgogliosamente atei che darebbero via un rene per l'ultima cazzata geekissima perché internet li fa sentire liberi, possono fare commenti acidi usando uno pseudo che alla lunga li descrive meglio del loro vero nome, inizia la fase dell'alienazione, della dipendenza, non fate finta di non sapere di cosa sto parlando. Gente che si sente protagonista della vita politica perché può insultare impunemente il governo sui siti web di giornali e tv, che prega per il boom di contatti sul blog sognando di vivere di rendita grazie ai banner di adsense. Internet è uno strumento di comunicazione e come tale configura una piattaforma organizzativa prima ancora di ramificarsi in applicazioni commerciali, politiche, amatoriali, prima di specializzarsi in ambiti sempre più circoscritti per consentire lo scambio di materiale informatico (in senso ampio, da informazioni vere e proprie a software e materiale audiovisivo).

Come una qualsiasi piattaforma organizzativa anche internet necessita di una regolamentazione del funzionamento sotto forma di autorità con poteri più o meno vasti. Si può accettare che tale potere venga gestito in ottica finalizzata al decentramento, per rispetto di sovranità nazionali (dove oscurano determinati siti o hanno facoltà di shut down) o di prerogative legate al diritto (dove aziende dominati si premurano di sottoscrivere policy corporative con slogan del tipo noi lavoriamo per il bene, noi siamo i buoni, noi facciamo beneficenza, noi rispettiamo l'ambiente, e via dicendo, allo scopo di non perdere il potere e soprattutto l'influenza, effettiva o potenziale, che risiede materialmente nelle loro server factory). L'accesso a internet si paga, anche se fosse gratuito ha dei costi, molto elevati, che ricadrebbero sull'intera comunità, non è gratis, internet, e non lo sarà mai, va a corrente, ha bisogno di pezzi di hardware e di gente che li assembla, fa manutenzione, programma, gestisce.

Internet dunque non è libero e non è gratuito, pertanto fatemi la cortesia di piantarla coi magnificat. Addirittura internet si presta a ulteriori irrigidimenti. Alcuni parlano già da anni a proposito di una tassa su internet. Alcuni hanno già realizzato delle subnet con accesso sottoposto a identificazione certa e il servo della neodittatura digitale è stato osannato dalle oligarchie industriali che, come succede sempre, hanno ammaestrato le masse antropomorfe e decerebrate trasformando un tycoon in una specie di profeta mediatico in dolcevita. Il sogno di ogni dittatura è di mettere un marchio sulla fronte o sulla mano dei sudditi, e l'internet recalcitrante alle imbragature non piace ai rappresentanti del potere costituito. Nel mondo reale ti appioppano il codice fiscale appena nato, se i tuoi genitori non vanno a chiederlo a tuo nome non ti permettono di uscire dall'ospedale. Ti appioppano un numero di carta di identità, di passaporto. Ti appioppano palle al piede, tatuaggi sul braccio, divise e uniformi, badge, impronte digitali, fotografie, scansioni della retina. Prima di internet è stato il telefono l'effigie della bestia che ha fatto proseliti e ha permesso di schedare ogni singolo cittadino, tu chiedi una linea telefonica e ti arriva a casa il canone tv da pagare, nelle dittature per chiedere una linea telefonica devi dimostrare di averne bisogno o essere mebro del Partito. Il numero telefono come esempio di marchio sulla fronte o sulla mano di giovannea memoria. Sulla fronte perché te lo ricordi a memoria, sulla mano perché risiede nel gesto rituale della chiamata. L'indirizzo ip statico non è vincolante per il controllo, è tutto loggato dai provider, tengono registrato tutto quello che fai per tre mesi, obbligo di legge, non lo sapevi? E se ancora non ti basta come grado di completo e fedele asservimento all'idolo del progresso, dello scientismo, chiamalo come ti pare, allora entra nei club esclusivi digitali, dove collegando il tuo nome, il tuo codice fiscale, il tuo numero di carta di credito (ovvero il tuo numero di conto corrente bancario), prendendo gran parte dei numeri corrispondenti alla tua persona e legandoli a un solo numero, il codice di un chip, che sia un telefonino, un tablet, un e-reader, diventerai la cellula di un organismo sociale in grado di accoglierti nel suo caldo abbraccio elettronico e nel suo paradiso di eccitanti e piacevoli attività digitali. Il passo successivo sarà il chip sottocutaneo, i cani ce l'hanno già, mettetelo ai vostri bambini e dite addio alla paura di fughe o rapimenti, compi un gesto altruistico, metti la tua mente e tua mano al servizio del unità di calcolo centrale, dove l'individuo vale zero e la rete-società vale infinito.


martedì 8 novembre 2011

il resto è conversazione

Nella Germania iperinflattiva del dopoguerra c'era un detto: meglio prendere un taxi perché lo paghi a fine corsa. Esiste tutta una filosofia del denaro prodotta da chi il denaro non sa cosa sia. Il denaro viene legato alla colpa di averne troppo, di spenderlo male, di adorarlo. Quando devi costruire una trama che si regga sulla passione ci puoi mettere una donna, il potere o il denaro, e se vuoi che sia approvata dai buonisti deve avere un finale romantico, dove qualcuno o qualcosa interviene per imporre con la forza il trionfo del bene. Nessuno di questi tempi vuole finali realisti, dicono che sono tristi, come se la vita non lo fosse, come se bastasse nascondere i malati dentro agli ospedali, i delinquenti nelle prigioni, i matti negli incubi. Sono quasi due secoli che impera la dittatura del romanticismo e adesso che sta andando in crisi inizierà a mordere come un animale in trappola. Se è ancora sul trono è perché non si trova con cosa sostituirlo. Fa comodo una forza persuasiva sentimentale in grado di modellare il significato della realtà, di rendere prevedibile la pubblica opinione e di permettere una guida che non ricorra sistematicamente alla violenza per disincentivare la naturale propensione gregaria delle persone a una crescente degenerazione morale.

Ma non voglio dipingervi il quadro della situazione culturale alla stregua di eidolon della crisi economica. L'origine della crisi economica risiede nel modello culturale alla base delle scelte fondamentali della politica che si traducono solo in seconda battuta in decisioni condivise riguardo per esempio all'impianto progressivo delle imposte o a soluzioni per contenere le conseguenze di una fase recessiva. Chi non sa di cosa parla cerca di darvi a bere che è una fase, che il progetto complessivo è comunque valido, che è tutta colpa del capitalismo e in particolare della finanza, ovvero del denaro. È come se qualcuno vi dicesse che è normale correre su un piede solo per tutta la vita e che le vesciche sono colpa della scarpa, che è sufficiente aggiustarla o buttare la vecchia per la nuova e si potrà riprendere a saltellare su un piede solo per un altro paio di secoli. Il che è anche possibile, la parte più spaventosa è che non solo è possibile trascinare il romanticismo per altri secoli, ma è anche possibile sostituirlo con qualcosa di peggio: sbagliavamo a credere che si dovesse usare un piede solo e procedere a saltelli, abbiamo scoperto che si deve strisciare sulla pancia.

La grande sovrastruttura del socialismo è palesemente contro natura, nel senso che è ovvia la funzione riparatrice della coscienza civile nei confronti di meccanismi spietati che non consentono la sopravvivenza dei meni 'fortunati'. Si tira in ballo la fortuna, il caso, non hanno di meglio d offrire come spiegazione della diversità, a meno di inserire nell'equazione una sorta di vendetta/opportunità divina dai propositi complessi e tutto sommato insondabili. La bestia nera dello scientismo, così spaventato da tutto ciò che è inspiegabile dalla ragione da volerlo eliminare. Il romanticismo impone un lieto fine e questo lieto fine la scienza e la filosofia lo ottengono eliminando fisicamente ogni fonte di colpa o distorsione caotica. Ho parlato qua, alcuni interventi fa, della soluzione dei dilemmi morali tramite l'eliminazione dei contenuti delle leggi morali (se elimini dio non ha più senso il primo comandamento, se elimini la famiglia non esiste più il tradimento coniugale, se elimini la proprietà non ha più senso il furto, e via dicendo). Allo stesso modo la scienza tenta inutilmente da decenni di eliminare le diseguaglianze togliendo di mezzo i diseguali. Comunismo e nazismo sono la stessa cosa: l'applicazione del principio romantico che in filosofia cancella (annichilisce) la morale vanificando i precetti, nella scienza elimina i malati, i brutti, i poveri, i deficienti.

Ma sono partito con l'intenzione di parlare solo del denaro, non della religione del socialismo reale con le sue ingenuità e le sue aberrazioni. Il socialismo come prodotto culturale è implementazione del romanticismo che ha figliato l'ateismo scientista e nichilista. Il problema è che l'unica alternativa che ci viene in mente è antisociale, individualista e immorale. Un problema che risale a Sparta e Atene, non è roba nuovissima, inutile che vi fate prendere dall'eccitazione, non è una novità di quelle con cui vi ha abituato la pubblicità e la retorica progressista che ogni cosa dev'essere nuova, pulita, splendente, più bella, più forte, più resistente, più eccitante e gioiosa. E vissero felici e contenti, lunga vita e prosperità. No, la vita di solito non lo è e chi non si rassegna finisce depresso e drogato, comunque infelice e insoddisfatto. Al punto che quando arriva un terremoto, un'alluvione, una crisi economica la gente è felice di poter giustificare la sua animosità senza volto, la sua rabbia provocata da un mondo che non si conforma alle aspettative. Se la prende con i potenti, con i ricchi, con gli immorali (di solito donne 'puttane'). È il romanticismo, baby, va avanti da quasi due secoli e tu ci sei nato dentro, ci vivi dentro e non te ne accorgi, come i famosi pesci di Wallace: salve ragazzi, com'è l'acqua?

Ma io volevo parlare del denaro, solo del denaro. Il denaro è un sistema di misura del valore. Il valore è dato dall'incontro tra quando è possibile incassare e quanto si è disposti a pagare in un dato momento. Il valore dipende anche dal quando e dal dove, un ghiacciolo, per esempio, vale meno in inverno, in Alaska. Il denaro è solo questo: uno strumento per effettuare scambi senza gli intoppi e le seccature del baratto. Il denaro può solo essere troppo o troppo poco. Se è poco la banche non hanno nulla da prestare e calano gli investimenti, spendi oggi e recuperi in tot anni, calano i consumi, non ti finanziano la sostituzione della macchina, e di conseguenza calano i prezzi, la produzione, e di conseguenza scattano i licenziamenti. Non è il denaro in sé a provocare tutto questo, è la sua scarsa disponibilità. Non è colpa delle banche se c'è poco denaro, non è colpa dei governi se il denaro viene a mancare. Si tratta del sistema, non del sistema capitalista, non c'entra niente il capitalismo nel discorso, la stesa cosa può accadere in qualsiasi sistema, capitalista o comunista che sia, ovunque si utilizzi il denaro si accettano le regole che determinano il funzionamento di qualunque strumento di pagamento. La finanza tratta solo del rischio legato al prestito, allo scorrere del tempo, al verificarsi di condizioni più o meno limite. La gente parla del denaro come parlasse del tempo, oggi piove, sì, e la colpa è degli speculatori.

Il motore dello sviluppo basato sulla crescita infinita è attuato sia nel capitalismo che nel comunismo, voglio essere chiaro su questo. Nei paesi comunisti si produce come nei paesi capitalisti, non aumenta il numero di pezzi stampabili da una pressa idraulica a seconda che si assuma il rischio imprenditoriale una società di capitali privati o lo Stato. L'aumento di popolazione è l'unica risorsa sulla quale i regolatori di mercato non hanno controllo, perfino sul prezzo del petrolio si può influire, a costo di fare una guerra se necessario, ma sulla popolazione no. La crescita infinita non solo presuppone risorse naturali infinite (e già questo basta per affermare che è una logica necessariamente di breve periodo, smith o non smith), ma anche una continua fonte di manodopera a basso reddito che sostenga i consumi. Masse motivate all'acquisto della qualunque, povere e poco istruite, che accettino lavori di merda per paghe di merda. Altrimenti devono trovare schiavi da fuori, d'importazione. Se poi, adesso che sapete tutto questo, volete andare in piazza a occupare, agitare cartelli, respirare lacrimogeni, far casino, sai che roba, sono molto impressionato, cercate di divertirvi che siete giovani (se siete vecchi mi fate solo pena).

Anche troppi soldi non va bene, ma è sempre meglio che pochi, per via della finanza, quella stessa finanza che ora viene accusata di ogni male. Se la finanza non avesse pompato soldi nel sistema l'unica cosa che sarebbe accaduta è che la crisi sarebbe capitata prima. La finanza ha rimandato il peggio dando modo ai governi di sistemare le cose. Come chi fa un prestito a un padre di famiglia che sta attraversando un periodo difficile. Solo che il periodo difficile non è temporaneo ma prolungato, l'ingresso nel mercato di nuovi attori (è un termine tecnico, in economia si chiamano attori nel senso che agiscono, non che recitano) ha creato un fortissimo disequilibrio, uno sbilancio con ripercussioni che avremmo potuto evitare solo continuando a isolarci, noi paesi occidentali dico, tenendo fuori il resto del mondo, quello sì ricchissimo, ma di gente povera e ignorante che non vede l'ora di seguire le nostre orme, solo che recuperano uno svantaggio di secoli in tempi rapidissimi perché la tecnologia, la conoscenza, permette salti di passaggi. Un selvaggio non si deve reinventare la ruota per costruire una fabbrica di biciclette, gli basta assumere un ingegnere appena uscito da un'università occidentale. Noi invece siamo ricchi di gente istruita e benestante che non sa nemmeno cos'è il denaro, e nessuno glielo spiega, non sento dire da nessuno le cose che scrivo io. Eppure sono cose semplicissime, non ci vuole un genio per capirle.

Se la carenza di denaro è nociva, anche se ineluttabile quando l'amministrazione pubblica consuma una fetta esagerata della ricchezza nazionale, il caso di molti paesi più socialisti di altri, ovvero garantiscono standard di benessere che il sistema produttivo non può assolutamente permettersi spendendo cifre che non possono venire parificate dal prelievo fiscale. Quando i soldi se ne vanno tutti al sostegno del bilancio statale i soldi vengono a mancare, ma qui si innesca la finanza, buona o cattiva. Perché oggi vi spingono a odiare la finanza? Presto detto, perché per il socialismo la finanza buona è quella che immette liquidità. Perché è buona la finanza che aumenta la quantità di denaro in circolazione? Presto detto, perché crea inflazione e svalutazione, permettendo al governo di esternalizzare il costo delle politiche socialiste. L'inflazione è una tassa sul denaro. Solo chi è in possesso dei titoli di credito (ogni singola banconota è un titolo di credito che permette di esigere un controvalore dalla corona/tesoro/emittente) perde ricchezza. Il solo fatto di essere ricchi implica un costante e inesorabile impoverimento dovuto a erosione del potere d'acquisto. Musica per le orecchie del socialista ma anche per lo Stato assistenziale, per il voto di scambio, per le mille possibilità di spesa improduttiva e di corruzione e di alterazione dei principi concorrenziali nelle mani del potere. Per chi non è ricco ma ha debiti, come lo Stato, l'inflazione è un ulteriore toccasana perché riduce il valore dei debiti. La svalutazione invece riduce automaticamente l'esposizione con i creditori esteri. Chi ha investito in valuta locale vede deprimersi il controvalore.

No so perché nessuno ve lo spiega. Spero che non sia un segreto di stato e di non pagare conseguenze per averne parlato. L'equazione è smaccatamente lineare: stampo moneta per finanziare la crescita, affinché gente povera e ignorante diventi ricca e istruita, dopodiché mi serviranno nuovi poveri e ignoranti, nell'ipotesi che le materie prima siano sempre abbondanti e a buon mercato e che l'inflazione non superi mai il livello tale da far preferire il taxi perché si paga a fine corsa, o da ritrovarmi nel paradosso comunista delle tasche piene di soldi ma negozi vuoti, o da spingere gli stranieri a non comprare i miei titoli né accettare la mia valuta in pagamento perché ritenuta carta straccia a causa delle continue svalutazioni. Spero che adesso abbiate capito un po' meglio come funziona il denaro e che la prossima volta che vi invitano a manifestare sprechiate qualche secondo a chiedervi perché e per chi lo state facendo. Se invece vi piace far parte della massa, siete inguaribili romantici, allora accomodatevi, che magari riuscite a farvi riprendere dalla tv e diventate famosi per i warholiani quindici minuti.

mercoledì 2 novembre 2011

Lo zen e l'arte di sbattersene

L'artista non lavora. Le cento semplici regole per diventare un artista sono uno stratagemma per vendervi un libro. Chi ha capito che c'è un sacco di gente che vorrebbe diventare un artista ha convenienza a sostenere la grande bugia universale del tutto è possibile, basta volerlo, basta applicarsi. Il trucco del motivare la gente è vecchio come il mondo: schiavi obbedite e siate onorati di trascinare macigni per la gloria del tempio di Ra. Verrete ricompensati. In questa vita o nella prossima, in questo mondo o nell'altro. Chiamano artisti i venditori di se stessi, i commercianti di oggetti numerati e articoli degni di un aristocratico. Diventa nobile comprando uno di questi, entra a far parte dell'élite sostenendo queste idee e i nostri progetti. L'arte di fabbricare orologi, di pronunciare un discorso, di presentare lo stacchetto delle ballerine. In questo periodo di demolizione pensavano di fare la rivoluzione e invece stavano solo demolendo. La famiglia, i valori, l'autorità, la giustizia, tutto quanto, per rimpiazzarli con traguardi asintotici e promesse irrealizzabili: tutti belli, tutti ricchi, tutti uguali. Uguali a che? Allo stampino platonico? La favola del progresso fa sempre più fatica a essere credibile, la propaganda si distingue sempre meno dalla pubblicità. Ma dire queste cose è lavorare, mentre l'artista non lavora.

L'etica del lavoro mortifica l'esigenza creativa. Il lavoro è l'orizzonte degli afflitti alla ricerca di gratificazione materiale e al contempo morale, l'artista si muove sul piano spirituale, al di sopra delle equazioni di cui si ciba la ragione. Il lavoro serve per essere riconosciuti dentro a un ruolo, per identificarsi con una carica, per godere il peso di responsabilità straordinarie. Il lavoro serve per vivere il mito dell'etica protestante, laddove è premiato lo sforzo e domina la meritocrazia, oppure per sopportare il mito dell'etica cattolica, laddove il lavoro è il modo per emendarsi in una perenne condizione di colpa che si rinnova. In ogni caso la povertà è vergogna, la disoccupazione infamia, il successo diventa l'espressione della benevolenza divina che nel protestante viene applaudita e nel cattolico viene rimproverata. In entrambi i casi il lavoro come dimostrazione di sanità fisica e mentale, dove chi non lavora è malato, è stupido, è malvagio, è criminale. Nel protestante chi non lavora viene punito, nel cattolico viene recuperato. Ai lavori forzati questi, nei campi di rieducazione quelli. La politica ai raggi x è religione, codificazione della morale in tavole della legge. L'artista si muove in una dimensione più complessa.

L'artista non lavora. Il lavoro serve per vivere, l'arte serve per morire. Si lavora per acquisire dei diritti che altrimenti non si possono avere. Questo significa che ci deve essere gente che non ha se non lavora perché se non serve lavorare per ottenere un diritto allora perché faticare, per altruismo? Per sport? Per senso del dovere? Si lavora per esercitare il possesso o la proprietà su qualcosa, esercitare il potere su qualcuno. Il protestante tende a non dare nulla a chi non se lo guadagna, il cattolico tende a dare tutto anche a chi non lavora. I due estremi li chiamano capitalismo e comunismo, la via di mezzo liberalismo e socialismo. L'artista non ha nulla a che fare con il lavoro. L'artista non crea le sue opere per ricavarci di che vivere, realizza una pulsione per affrontare la morte e con essa la vita come immagine speculare, da speculazione, riflessione, riflettere. Il lavoro prevede organizzazione, controllo, economie e diseconomie, ripetizione. Il lavoro è tutto ciò che un artista non deve fare. La crescita professionale passa da conoscenze, dalla raccomandazione del parente o del politico o del prete, tessere di partito, militanze, compromessi, è una faccenda politica come ho spiegato sopra.

Anche spiegare non è arte, è lavoro. L'artista non spiega, si guarda bene dallo spiegare, l'artista fa. Il lavoro, compreso spiegare, è inutile per finalità di lungo periodo, puoi spiegare forse qualcosa, forse a qualcuno, ma il mondo è troppo grosso da smuovere per un uomo solo, e l'artista è la quintessenza della solitudine, come chiunque si ponga di fronte all'oceano, all'orizzonte, all'infinito. L'artista si rivolge a pubblico ideale, fatto di tanti se stessi. L'artista non crea per avere un pubblico, crea nonostante il rischio di avere un pubblico. Se un artista pensasse a persone vere che lo leggono, ascoltano, guardano, capirebbe quanto la gente vera è distante dal suo pubblico ideale e non muoverebbe più un dito, a nessun prezzo. L'artista è un uccello in gabbia che viene nutrito dal mecenate, è l'uccello che non semina, non miete, non riempie i granai, un'esistenza che gioisce in totale abbandono e fiducia fino allo struggimento e all'afflizione. Chi lavora produce intrattenimento, non c'è nulla di mistico nel ciclo di produzione, commercio e consumo. Il popolare di oggi sarà l'esclusivo di domani, il progressista di oggi sarà il conservatore domani. La perdita di qualità si verifica quando il valore è decretato dall'indice di gradimento, quando l'arte è valutata in termini di tempo-lavoro. L'artista non lavora, il valore non è calcolato o ricavato da curve di preferenza in condizioni di ottimo paretiano. Non esiste pubblico ma discepoli. L'artista è un maestro suo malgrado per chi si sforza di ricreare il palcoscenico mentale sul quale si esibiscono le opere, e più è grande la maestria dell'artista più è difficile scalare la vetta che dà accesso al punto di vista privilegiato dell'autore.

L'artista sceglie di diventare quello che è già in potenza, risponde a una chiamata che gli impone una fatica cento volte superiore a quella di qualunque lavoro perché non deve essere fatto dalle mani dell'uomo ma per mezzo delle mani dell'uomo. Il lavoro viene prima, nell'esercizio, nella cultura, nell'applicazione, nei requisiti dell'arte, la dimestichezza con le regole e con gli strumenti. Tutto ciò che è mestiere. Il mestiere può essere lavoro manuale o intellettuale molto sofisticato, ma non può essere arte. L'arte è un gradino oltre, non dà a qualcuno quello che vuole, desidera, abbisogna. L'artista autentico dà e toglie certezze, nuove angolazioni, prospettive originali, crea necessità e domande e non sempre le soddisfa e risponde. E non gioca. Questa cosa che se non è lavoro è un gioco, che se non ti pagano è un hobby, ecco, basta, è questo il pubblico che l'artista deve ignorare per non deprimersi e suicidarsi, un corpo fatto di milioni di persone che dicono scempiaggini e non capiscono niente. Per riallacciarmi a quanto sopra, si capisce perché i grandi maestri sopravvivono dove ci sono mecenati e cattolici, e perché l'arte pop è sbocciata dove ci sono commercianti e protestanti.



Questa foto ha vinto il concorso CIWEM. Kathmandu, Nepal, questi due bambini vivono con la nonna accanto alla discarica. Ogni giorno cercano tra i rifiuti qualcosa che si possa rivendere per comprare del cibo. Se non trovano niente la nonna li sgrida. A volte non trovano niente di utile per giorni e al piccolino viene molta fame. Adesso venite a raccontarmi della morte di gente famosa idolatrata dai media che vale meno della spazzatura in cui rovistano ogni giorno a mani nude questi bambini e chiedetevi se esiste davvero un motivo per non morire così, tutti quanti, in massa, di colpo, su due piedi, senza finire di parlare o iniziare a pensare.

Il post finisce qua, il seguito è per chi ha l'impressione di non aver capito bene.

P.S.: la cruna dell'ago. Basta. Non è un ago da cucito. C'erano due porte, una per le carovane, una per la gente a piedi. L'ingresso per gente a piedi era una porticina troppo piccola per un cammello, specialmente se carico di merce, aveva un nome che è stato tradotto cruna dell'ago ma non è un ago. Per dire, il corpo fatto di milioni di persone di cui sopra, non lo sa, non sta bene dirlo perché sono potenziali clienti/amici/elettori, ma siccome l'artista non lavora e non vende, l'artista lo può dire che il pubblico è una massa di stupidi e ignoranti e che la cosa più zen da fare a riguardo del pubblico è sbattersene i c

A proposito di cammelli e ricchi. La ricchezza è creare un capitale da lasciare ai figli, che sia una mandria o un appartamento. L'illusione di ricchezza con cui vi fanno lavorare invece è una truffa perché non vi dicono che gran parte della vostra ricchezza svanisce col tempo. Vi ammazzate di fatica, arrivate a compiere azioni di cui vi pentite o vi dovreste pentire, al fine di mettere insieme una ricchezza che evapora. Se diventate ricchi siete costretti a spendere tutto in consumi, che sia l'ultimo cellulare o droga, una vacanza o ballerine, vestiti o gioco d'azzardo. Non vi danno modo di investire capitalizzando. Il capitalismo, liberista o socialista, come vi pare, non c'è più. Stanno bastonando un cavallo morto, ucciso dallo statalismo e dal socialismo. La ricchezza ve la mangiano con l'inflazione e la svalutazione, con le tasse sui beni reali che comunque necessitano di manutenzione. Anche se mettete assieme tanta ricchezza da far contenti gli eredi avrete comunque lavorato molto più del necessario: il valore di quanto avete strappato al mondo è una misera frazione dell'intero. Secoli fa avreste ottenuto lo stesso lavorando meno, siete schiavi della crescita forzata e lo chiamate progresso. Siete come i cammelli della parabola, sfruttati per un lavoro che non è necessario e carichi di roba che non vi serve, vi piacerebbe entrare dalla porta piccola ma non è solo il fatto che avete e/o volete trascinare/sfoggiare quintali di roba, è che siete stupidi come un animale, cammello o somaro o bue, scegliete voi quello che preferite. Dove va la ricchezza che lo Stato vi sottrae? Come spendono i vostri soldi i partiti? Per finanziare le vincite elettorali future? Fino a quando aumenta la popolazione, aumentano le fabbriche, cementifichi e asfalti tutto, apri supermercati e inventi nuove feste per scambiarsi regali, insomma ficchi carbone nella caldaia e la locomotiva tira anche se aggiungi vagoni, ma a un certo punto le leggi della meccanica, della termodinamica, la forza di gravità, insomma, a un certo punto ti ritrovi a bastonare un cavallo morto, il punto in cui siamo noi: troppa popolazione, troppo inquinamento, scarsità di risorse che diventano sempre più care, troppo consumo che son tutti obesi e impasticcati. Ecco, questo è lavorare, scrivere per un pubblico, l'artista invece è quello che scrive senza l'obiettivo che il pubblico capisca il lavoro che c'è dietro, e non vuole nemmeno pensare all'esistenza di un pubblico vero, là fuori, che si limita a un giudizio approssimativo perché è un corpo fatto di milioni di individui senza cervello che non possono, per fare un solo e chiaro esempio, pensare alla cruna dell'ago come a qualcosa di diverso che una cruna dell'ago in cui passa il filo da cucito.

L'approfondimento finisce qua, se qualcuno ha ancora l'impressione di non aver capito per favore non me lo dica, non lo voglio sapere, non voglio feedback, non ci sono schede da compilare per capire quanto è soddisfatto il cliente del servizio o per inoltrare delle lamentele, faccia finta che non esisto e vada a leggere un bestseller o a guardare un blockbuster.