venerdì 29 aprile 2011

Un paio di cosette.

Considerazioni sparse su evidenze che per qualcuno potrebbero non essere tali: le informazioni vere verranno taciute dalla chi ne riceve nocumento e le informazioni false verranno divulgate da chi ne trae giovamento, anche i progetti basati su motivazioni altruistiche devono essere giustificati nel campo del reale, la moneta è uno strumento a doppio taglio che produce e si nutre di fiducia, la produzione fondata sul valore aggiunto e senza risorse naturali per produrre materia prima soffre molto di più sia le crisi che la concorrenza, il manicheismo di chi è convinto esista sempre un'unica soluzione preferibile svuota di significato qualsiasi processo democratico. Ognuna di queste, e ce ne sono moltissime altre, varrebbe un discussione a sè stante. Dovrebbero insegnare alla gente a individuare e disaminare gli argomenti, non le poesie a memoria e tutta quella massa di nozionistica per la quale si qualifica erroneamente l'intellettuale, scambiando la coltura con la cultura. Banche dati che si credono intelligenti.

Voi siete clienti, come tali dovete ricevere solo quello che esce dall'ufficio marketing, dalle pubbliche relazioni, non dovete conoscere le relazioni interne degli ingegneri, degli analisti di bilancio, dei responsabili finanziari. Vale in tutti i campi: dall'industria alla politica, dalla scuola alla famiglia. Solo pochi individui accedono alle informazioni rilevanti e hanno il potere di prendere decisioni più o meno condivise, più o meno rispettose di certi valori e non di altri, più o meno orientate a questa o quella finalità destinata a produrre molti o pochi utili o perdite. A ogni livello ci saranno sempre due persone o due gruppi che si fronteggiano e si contendono il potere decisionale. Dalla mamma che litiga col papà alla destra che litiga con la sinistra, dalle aziende leader di mercato che si strappano di mano i rispettivi clienti a colpi di campagne pubblicitarie alle chiese di diverse religioni che fanno a gara per fornirti le risposte che vuoi o non vuoi ti vengano date.

È una guerra di informazioni, di consenso, e tu sei stupido se pensi ti vengano date tutte el informazioni rilevanti per capire chi ha ragione su cosa, per dare un voto o farti un'opinione sulla base delle informazioni che ricevi. Tanto per cominciare vengono taciute informazioni vere e divulgate informazioni false, e tu non saprai mai cosa è vero e cosa no, potrai solo fidarti o non fidarti di quello che ti dicono. Di solito funziona così: tu decidi prima da che parte stai, come a scegliere la squadra sportiva per cui tifare, e di conseguenza da quel momento consideri vera tutta la pubblicità della tua parte e falsa quella dell'altra squadra. L'altra soluzione è non credere a nessuno, cercare la verità, ragionare con la propria testa, un'attività molto faticosa e impegnativa che non solo non viene remunerata ma che non serve a nulla in un mondo in cui quasi tutti hanno scelto la via più semplice della squadra del cuore.

Fino a qui sto cercando di spiegare solo la prima delle evidenze che ho elencato nel primo paragrafo: una delle leggende sulla democrazia è che il voto sia informato. Non lo è, ma non solo perché al potere fa comodo avere cittadini che non sono informati, sono male informati ma anche perché i cittadini non sarebbero comunque capaci di elaborare le informazioni perché un conto è ficcarsi in testa a memoria i libri che servono a ottenere un pezzo di carta dal valore legale, un altro conto è avere l'intelligenza e la saggezza per capire cosa è meglio per chi, in quali termini, per quanto tempo, con quali conseguenze. E qui si entra nella questione della selezione della classe dirigente, nel dibattito all'interno dei partiti, nelle prerogative dell'élite nei confronti delle masse, insomma non è così semplice, specialmente in una società dai saperi specializzati, esprimere voti democratici e allo stesso tempo 'giusti' su problemi che abbisognano di competenze specifiche, di analisi comparative, di considerazioni che esulano dalle tematiche prettamente inerenti ma che si debbono tenere presenti come fallout decisionale su campi attigui di interesse significativo.

Mi fermo, per adesso. Il perché le leggi dell'economia forzano i comportamenti sfruttando le preferenze e svelando il grado di realismo dei progetti altruistici, il discorso sullo strumento monetario come gioco di vasi comunicanti e vincolo di interesse reciproco, la difficoltà di produrre solo a valore aggiunto di un paese privo di risorse naturali, il corto circuito di chi pensa ci sia una sola risposta esatta e parla di dittatura della maggioranza ogni volta che finisce in minoranza, son tutte cose che teniamo via per future occasioni.

giovedì 14 aprile 2011

Solo posti in piedi.

Mi ha scritto un americano, un italo americano, mi pare si chiamasse Giovanni, dal New Jersey, mi ha scritto qualche tempo fa, dopo aver letto qualcosa di mio da qualche parte. Mi è rimasta impressa quella mail in particolare per via del 3-4 per cento, mi diceva Giovanni, si chiama così se non ricordo male, non ho voglia di mettermi a spulciare gli archivi per verificare, mi diceva il 3-4%, mi è rimasto impresso quel 3, quel 4, nella sua email. Ho pensato che fosse una delle poche persone che ragiona da prospettive molto ampie, che mi capita raramente di incontrare persone che non mi ripetono ragionamenti che hanno letto da qualche parte e che molte volte sono ragionamenti che ho trovato in giro mesi o anni fa, che a volte sono già stati modificati o smontati più di una volta. Questo 3-4 per cento dichiarato da Giovanni, New Jersey, invece, non l'ho mai sentito prima. Mi fa sapere che anche in America c'è un dibattito aperto sulla scuola, e che è d'accordo con me in quanto i posti di lavoro che richiedono grossi studi sono solo il 3-4 per cento del totale.

Non mi ricordo a che proposito o in quale isola del web Giovani abbia trovato non so quale mia riflessione sulla scuola, ma rimane il fatto di quel 3-4 per cento. Mi ha ricordato il gioco delle sedie, quello dove c'è della musica e quando finisce tutti trovano posto tranne uno che rimane in piedi e viene squalificato. I laureati sono persone che aspettano di sentir cessare la musica, di buttarsi a sedere, ma di sedie adatte al deretano di un laureato sono solo 3 o 4 su 100. Almeno stando a quando mi riferisce Giovanni dal New Jersey. Mi sono ricordato subito del 18 politico, della laurea breve, delle lamentele su quanti pochi laureati abbiamo rispetto agli altri paesi. Mi sono venuti in mente le folle di precari che vogliono sedersi sulla sedia per la la quale hanno studiato. Mi sono chiesto se il culo di un laureato si modifica in modo tale da non potersi più sedere su una sedia normale, ovvero se ottieni la laurea sei condannato a non poter fare lavori che non richiedono qualifiche. E in effetti alcuni mi dicono che se sei laureato non ti danno lavoro, altri invece si lamentano che pur essendo laureati si devono accontentare di stipendi non adeguati al titolo di studio.

Voglio dire questo: c'è una diffusa percezione erronea sul valore del titolo di studio. In teoria dovremmo pagare molto di più un lavoro meno preferibile rispetto a un altro. Fare i turni di notte, lavorare all'aperto quando fa molto caldo o molto freddo, compiere operazioni normalmente ritenute schifose come macellare animali per esempio, o spalare concime, sono lavori che dovrebbero essere pagati di più rispetto a chi inserisce dati nel computer o risponde al telefono, soprattutto nel momento in cui ci sono mille persone che vogliono rispondere al telefono e due che sono disposti a spalare la merda. Sono leggi dell'economia, è così che dovrebbe essere: vuoi che sto dietro giorno e notte come badante alle esigenze di un vecchio sclerotico? Allora mi paghi di più di quanto mi pagheresti per friggere patate. L'errore dei politici è sempre uno e uno solo: sono stupidi. Pensare che aumentando il numero di laureati non ci sia più bisogno di spalare la merda è stupido o no? Pensare che se sono tutti laureati non ci saranno più persone che offrono stipendi troppo bassi né persone che li accettano è stupido o no? La realtà alla fine viene fuori, ci vuole tempo, magari riesci a tenerla giù spendendo miliardi di soldi pubblici dando a tutti un posto statale in cambio del loro voto e indebitando le prossime 5 generazioni, ma alla lunga la realtà viene fuori.

In questo periodo stiamo spingendo avanti la realtà. È quello che fanno i conservatori, che siano di destra o di sinistra, che siano democrazie o dittature. Fino a quando poi scoppia qualcosa, che sia una crisi economica o una guerra, gente che si ammazza di botte per ragioni sbagliate, ragioni qualunque, che quando la realtà alla fine trova un buco e viene fuori non ha bisogno di venire razionalizzata, è frutto di impulsi, bisogni, emozioni, speranze. Le persone più pericolose in assoluto sono proprio quelle che si etichettano come razionali, che si sentono dimostrabili come teoremi, che pensano di avere capito dove sta andando la storia, di cosa ha bisogno il popolo. Di solito sono stupidi e diventano politici o comunque militano per una parte politica. Magari fanno i professori e proprio adesso i tuoi figli si stanno facendo indottrinare dalla stupidità di gente laureata che in ogni cosa che fa ci mette dentro la politica. Gente laureata che poi vede alla tv ragazzini presi a legnate dalla polizia e un po' li invidia, se ne sta lì a grattarsi la ciccia, a fumare e a bere alcol, stravaccato sul divano, con in mano un libro di proust, e grida bravi, fategliela vedere, hasta la revolucion, si commuove persino ricordando i bei tempi andati, quando era lui a far casino per strada contro il governo, il potere, il sistema.

Solo il 3-4 per cento, mi dice Giovanni, sono posti di lavoro che necessitano di persone intelligenti, dotate, speciali, rare. Sarà vero? Così pochi? Non lo so, ad ogni modo non sono di sicuro il 100%, su quello non ci piove, il discorso resta in piedi anche se al posto del 3-4 ci metti il 30 o 40. Se fossi un politico direi ragazzi, state a sentire, tra 5 anni ci serviranno tot infermieri, tot friggitori di patate, tot spalatori di merda. Se studiate filosofia o lettere va benissimo, vi fate una bella cultura, potete comunque prenotarvi per spalare merda e prendere uno stipendio che è il doppio di quello che prendereste sfruttando il vostro titolo di studio oppure potete decidere di restare disoccupati, scendere in piazza a protestare, accettare lavori sottopagati, in nero, provvisori. Non so voi, ma io per uno stipendio adeguato la merda la spalo, col sorriso sulla faccia spalo la merda se mi pagano un fior di stipendio, altroché, sento profumo di rose e gelsomino se mi pagano uno stipendio da favola per spalare la merda. E se invece succede che lo Stato permette che un disperato lavori come uno schiavo e spali la merda per due soldi, senza contratto di lavoro, senza tasse, ecco che ci troviamo nella situazione in cui ci troviamo, in cui tutti vogliono sedersi e fanno a botte per rubarsi le uniche 3-4 sedie decenti rimaste in circolazione.

PS: ciao Giovanni, dal New Jersey, non ti ho risposto ma non rispondo quasi mai per cui non pensare che rispondo a tutti tranne che a te non rispondo quasi mai e capita che se rispondo lo faccio a caso, grazie lo stesso per avermi scritto ciao

martedì 12 aprile 2011

emersione

È vero che internet ha provocato, in maniera indiretta, cambiamenti che non hanno niente a che fare con la tecnologia, cambiamenti che interessano i rapporti sociali, le modalità di gestione dell'opinione pubblica, gli strumenti per il confronto e l'emersione dell'opinione maggioritaria e soprattutto i tempi di reazione concreti e quelli percepiti.

Non sto dicendo che tutto questo è un bene o un male, non sto dando giudizi di valore aprioristici, non ha nemmeno senso criticare gli effetti non voluti incolpando il mezzo, uno strumento. Infatti è vero che internet consente l'esposizione di voci che attirano nella loro orbita gravitazionale masse consistenti di pubblico (e di pubblicità) senza garanzie di professionalità, di rappresentanza garantita da controllo istituzionale. Ti basta intercettare lo sdegno qualunquista, la meschinità astiosa dell'uomo comune, per trovare seguito e approvazione. Questo può portare a presumere di essere all'altezza di un compito come se non fossero necessarie competenze o abilità particolari, come se esperienze e titoli di studio fossero in realtà barriere create dal sistema per impedire a chiunque di occupare posti di comando.

La vecchia tv richiede tempo da dedicare alla visione, non si può scegliere l'orario senza doversi accollare il costo e il fastidio di una registrazione. Internet consente di accedere a qualsiasi contenuto quando e dove si vuole, senza nemmeno subire le interruzioni pubblicitarie.

Il controllo sull'informazione dava modo al governo di modellare un popolo, una nazione, costruendola dal nulla, creandola e dandola per scontata per poi ritrovarsela nella realtà grazie a questa specie di imprinting che consente alla cultura, qualunque sia, antica o costruita dal niente in laboratorio (come hanno dimostrato gli esperimenti ideologici nazisti e comunisti) di colonizzare le nuove generazioni. Tutte le differenze, i motivi di rancore, le statistiche che dimostrano realtà scomode, vengono semplicemente ignorate e seppellite, vietando o lasciando che non siano 'messe in onda'. In questo modo tutti i problemi vengono limitati a piccole dimensioni territoriali, dal momento che la gente è stanziale, non sa cosa succede a 100 km di distanza se nessuno glielo va a dire.

Prima di internet per sapere com'era il mondo là fuori, lontano, dovevamo basarci prima su libri e stampa, poi sul cinema, infine sui programmi televisivi. L'America era quella della tv, ci sembrava di essere tutti americani, nessuno di certo si sentiva particolarmente amico dei cinesi, per esempio, o dei congolesi, non c'è un fonzie cinese. Addirittura gli italiani sono più amici fra di loro per la comune americanità assorbita per mezzo della tv che per un'italianità rimasta nei confini del fittizio. La nostra cultura è costituita soprattutto, se non unicamente, dagli stereotipi.

Alla luce di queste considerazioni si afferrano le ragioni per cui i governi ci tengono tanto a censurare internet. Se un gruppo di persone non sa, non conosce, la sua mente non si mette a evidenziare le differenze, il suo cuore non comincia a macerarsi nell'insoddisfazione, il suo spirito non comincia a desiderare condizioni di maggiore benessere.

Ecco, quello che la libertà di internet fa mancare è la possibilità del controllo. Il controllo, vale lo stesso ragionamento sull'esprimere giudizi a priori su internet, può essere buono o cattivo a seconda di chi controlla cosa. Tra l'anarchia - con le aspirazioni dell'autoprogrammazione in chi immagina che un computer prenda coscienza raggiungendo un'adeguata complessità - e la dittatura – con il sollievo di chi vorrebbe delegare tutte le responsabilità di governo a un supercomputer che riesca a fare il miracolo di mescolare il giusto e il razionale - vi sono tanti gradi di controllo possibile.

I pericoli che dall'inizio della storia hanno portato cambiamenti positivi o tragici sconvolgimenti sono sempre gli stessi: il mio vicino ha una cosa che io non ho e che mi serve, che voglio, che non è giusto che lui la possa avere e io invece no. Chi comanda sbaglia e dobbiamo punirlo per quello che ha fatto eppoi toglierlo di mezzo per far comandare quest'altra persona, che ha promesso di cambiare tutto e racconta cose molto esaltanti e commoventi e i suoi progetti ci renderanno più ricchi e più felici.

Internet è un gigantesco televisore che trasmette di tutto e i governi non possono controllare. Questo è bene se lo guardi dal lato dei contenuti di alto valore scientifico (posso studiare qualsiasi materia aprendo wikipedia, non so se mi spiego, posso vedere foto di galassie lontane, posso fare ricerche in dieci minuti che prima di internet a uno studioso avrebbero richiesto mesi, anni), artistico (posso vedere murales di tutto il mondo, alcuni molto belli e significativi, per esempio, posso leggere articoli pubblicati su giornali stranieri che vengono tradotti per me gratuitamente da un madrelingua o da un software), posso comprare cose che non trovo nei negozi. Il lato negativo è l'uso che fanno di internet i truffatori, i venditori di articoli illegali, i depravati, i terroristi, i delinquenti in generale e soprattutto i politici, che siano impiegati direttamente dalla politica o lavorino come 'giornalisti' o aspiranti tali. Su internet la politica diventa un pollaio, dove anche chi non sa di cosa parla agita la fiaccola e incita i forcaioli perché diventa inutile l'approfondimento quando il destinatario del messaggio non può capirlo. Allora vale solo chi grida di più, chi accusa più forte, chi fa promesse più allettanti. Hanno inventato parole specifiche, gli antichi, per definire i comportamenti criminali nel campo dell'informazione: demagogia, populismo, dittatura.

In questo momento storico anche la politica, come tutto il resto, si va estremizzando nelle posizioni: i due poli d'attrazione vanno dall'aristocrazia (che significa governo dei migliori, aristos vuol dire migliore, non nobile) all'oclocrazia (che significa governo delle masse, utilizzato in forma spregiativa per indicare una forma di governo transitoria che può sfociare in una forma più o meno severa di controllo autoritario). Dalla parte degli aristos abbiamo chi chiede meritocrazia e chi l'eroe che si candidi al ruolo di salvatore, chi si appella al governo perché faccia il miracolo di contrastare fenomeni globali sui quali non ha né può aver alcuna possibilità d'incisione, che siano ondate migratorie o concorrenze di paesi a basso costo della manodopera (tutte cose fra l'altro già viste in passato, alle quali anche in passato non si è potuto contrastare efficacemente senza piombare in guerre mondiali). Dall'altra parte ci sono quelli che accusano e danno la colpa di tutto all'avversario politico, quelli che vedono dappertutto complotti ai danni del popolo, che si sentono parte di un meccanismo studiato per sfruttare le masse e, una volta fatto saltare il sistema, tutto andrà a posto automaticamente.

Ecco perché io evito il più possibile quasi tutti gli argomenti che non siano il tempo atmosferico. Sono molto basse le probabilità di rovinarsi l'umore parlando di quanto caldo fa, della nuvolosità del cielo o della probabilità di pioggia nelle prossime ore. Inoltre per parlare del tempo non c'è bisogno che uno dei due interlocutori sia un aristos, possono essere entrambi i peggiori esponenti dell'oclos e non succede niente, non si finisce a litigare perché uno sostiene che piove troppo e l'altro troppo poco. È più facile stare zitti, navigare sott'acqua, senza emergere mai se non per emergenza, come quei sottomarini nucleari che hanno autonomie decennali. Si fa meno fatica, si evitano noie, si vive tranquilli e beati.

venerdì 8 aprile 2011

Gringo, questo paese è troppo piccolo per tutti e due.

La confusione è diventata l'arma preferita di un certo modo di fare politica. Non ho ancora capito se è una cosa voluta, tesa a ingannare l'elettorato per strappare consenso all'avversario, o se è un altro dei molti sintomi a far ritenere inadeguata al proprio ruolo l'attuale classe politica. Che se intervieni a soffiare via il fumo ti guardano come se sei tu a far confusione, perché spiegare a chi non ha gli strumenti per capire è più complicato che ridurre a minimi termini questioni complesse tirando conclusioni sbagliate, comode ma false. Come quando si finanziano ricerche scientifiche a sostegno di un risultato che si vuole ottenere a priori, allo stesso modo creo delle spiegazioni all'apparenza coerenti che però supportano artatamente un punto di vista di parte. Per conto mio sono e resto convinto che si tratti di processi sociali, storici, culturali troppo grossi per venire guidati o arginati, ma questo non vuol dire che si venga giustificati qualora si lavori per accelerarne l'avvicendamento, anzi, trovo ci sia qualcosa di meschino e deprimente nel verificare quanto le masse siano facili da imbrogliare, al punto da renderle autrici della loro stessa disfatta. Forse è davvero un processo automatico, privo di una volontà organizzatrice o semplicemente fattiva al di là di corrette capacità previsionali, eppure rimane il dubbio che qualcosa o qualcuno lavori affinché vengano raggiunti obiettivi secondari di breve periodo anche a costo di sacrificare obiettivi primari di lungo periodo.

Quello che si può fare è tentare di evidenziare le distorsioni più manifeste o lasciare che la situazione si sviluppi fino a ritrovare da sé l'equilibrio. Il principio generale al quale infatti è impossibile sfuggire è l'equilibrio dinamico: per quanto siano frequenti e massicce le azioni che intervengono a sconvolgere le reciproche relazioni di forza, il sistema tenderà sempre, e con sempre si intende sempre, a riconquistare l'equilibrio, che sia lo stesso equilibrio al quale tendeva in precedenza oppure un nuovo equilibrio. Una volta che tieni presente questo semplice concetto capisci che l'insieme degli accadimenti si degrada a un'importanza del tutto relativa e diventa ancora più sciocco l'atteggiamento di chi si concentra e si sforza per assumere un qualsivoglia controllo sul flusso degli eventi. Partendo da un elevato punto di vista come questo non ha più importanza l'effettiva capacità individuale di influire sulle componenti del mainstream, sarebbe come tentare di convincersi di non essere un salmone mentre si risale, come hanno fatto e faranno generazioni di salmoni prima e dopo di noi, il torrente che sarà presto la nostra tomba. Eppure qualcosa si dovrà pur fare a questo mondo, mi si può obiettare, e dico certo, dico giusto, il problema è che molti, magari in buona fede, con le migliori intenzioni, quello che fanno è solo creare confusione, quindi danni al posto che benefici, discordia al posto di collaborazione, disorganizzazione al posto di programmazione.

Per stare all'attualità basta aprire qualsiasi canale mediatico per imbattersi nella confusione dilagante, specialmente laddove, come nel nostro paese e non da oggi o da ieri ma da secoli, due o più fazioni si combattono con tutto quello che trovano, arrivando a far del male a se stessi pur di ferire lievemente l'avversario. Un panorama sconsolante, asfittico, per il quale sono state coniate espressione come 'turarsi il naso' da chi è stato gambizzato in una delle molte parentesi nelle quali la violenza verbale delle fazioni in campo ha pensato bene di giustificare e fomentare l'esercizio della violenza fisica come strumento dialettico. La decadenza e il grottesco prendono piede in una società abituata alle concessioni che il benessere permette, concessioni che impattano anche abitudini di consumo, valori e costumi, percezioni e convinzioni, all'improvviso si trova spiazzata da una crisi economica con radici strutturali, non ricomponibile bilanciando gli interessi di singole regioni ma che necessita di un ripensamento globale riguardo a sviluppo sostenibile e scarsità di risorse. In siffatta contingenza si vorrebbe che i popoli, le masse, si orientassero senza attriti su innovative forme mentis e si adeguassero in tempi brevi alle mutate caratteristiche ambientali. E invece succede che la politica si fa interprete tendenziosa, per convenienze sottaciute, e strumentalizza le difficoltà e le disgrazie per incolpare la fazione avversa e ricavarne profitto in termini di consenso.

Di esempi dell'inganno quotidiano se ne trovano ovunque, basta avere la voglia, la pazienza, la forza, il tempo, gli strumenti per verificare le affermazioni che vengono date in pasto alla pubblica opinione dai mass media ma non solo dai mass media. Una miriade di media che non sono di massa ma sono di nicchia, e quindi dovrebbero essere più affidabili, si rivelano invece essere solo armi più affilate e letali, che confermano appositamente e colpevolmente le imposture assemblate da un vero e proprio marketing politico. Alcune 'campagne' sono molto sofisticate, altre meno. Anche la terminologia aiuta a dar forma al corpo di una società impazzita, caduta nella schizofrenia, infatti le campagne una volta erano solo militari, adesso sono strategie commerciali e comizi elettorali. Ieri, in parlamento, non in piazza per mano di un deficiente qualsiasi, hanno dato dell'assassino al ministro dell'interno e poi si sono scusati, rendendosi conto di aver esagerato, ma domani succederà qualcosa di simile come è successo in passato. Non lo pensano davvero, che sia un assassino, ma fa effetto, porta voti, fa niente poi se la gente passa dall'indignazione alla rabbia e va in piazza e finisce che un ragazzo muore mentre sta scagliando un estintore addosso a un poliziotto o gli spacca la faccia mulinando un casco integrale un altro manifestante. Anche pochi minuti fa ho sentito un giornalista alla radio, un giornalista moderato, che si occupa di mondanità e di sport oltre che di politica, dire che non bisogna restare indifferenti ma indignarsi, per non dire la parola con due zeta (intendeva la parola incazzarsi presumo). Questa roba nasce da Gramsci, hanno tirato in ballo Gramsci a una baracconata musicale per dire che bisogna schierarsi per i partigiani. È una catena, una escalation, una parola che si usava molto ai tempi della guerra fredda e che ora può venir buona solo per rendere interessante la telecronaca di un rocciatore.

Abbiamo la protesta contro i tagli alla scuola che si trasforma in una protesta contro la scuola privata (ovvero contro la chiesa, ovvero contro la religione marxianamente oppio dei popoli) così, senza reale motivo. E se dici che non c'è reale motivo sono sicuro che ti guardano male, come se fossi tu a mentire, come se motivi veri ci fossero e che la tua fosse mera contro informacia. Oppure la difesa dell'ICI (tassa sulla proprietà proudhonianamente furto) come soluzione federalista. Una tassa locale, che sia basata sui servizi erogati favorendo i comuni più efficienti o sul patrimonio immobiliare favorendo i comuni turistici non rende federalista uno Stato. Ma vai a dirlo ai salmoni che sono tutti concentrati a resistere alla corrente, impegnati a combattere per superare le rapide, intenti a vincere la gara a chi si accoppia di più e muore per ultimo. Oppure che il liberismo economico equivale al 'far west' e non all'idea che un eccesso di regolamentazione sia controproducente, a un certo punto qualche addetto al marketing politico ha appiccicato sulla fronte del liberismo l'etichetta 'far west'. Il bello è che all'inizio non si riferiva alla mancanza di regole ma al non rispetto delle regole vigenti. È stato stravolto nel significato per adeguarsi a esigenze di propaganda.

Intendiamoci, a me non me ne frega niente a un certo punto se c'è l'ICI o no, se vogliono spendere il doppio o la metà per la scuola, non sto parlando di questo, sto parlando dell'inganno, della strumentalizzazione, delle conseguenze di un modo di fare politica e informazione che ritengo non solo da irresponsabili ma anche da stupidi, molto stupidi. A volte mi preoccupo, a volte mi stupisco, a volte mi insolentisco, a volte mi deprimo, a volte mi inalbero, ma alla fine quello che faccio e desistere, ignorare, lasciar perdere, perché è inutile invitare i salmoni a non obbedire all'istinto, mettersi a spiegare come e perché le loro azioni finalizzate all'ottenimento della soddisfazione li condurranno a esiti spiacevoli. E quando sento inviti all'azione rispondo che anche il rifiuto di partecipare è un'azione, anche l'indifferenza è una scelta ben precisa, anche prendere le parti di chi non prende parti è lecito e legittimo, specialmente quando prendere parte significa una sola cosa, imbracciare le armi per la parte che critica l'inazione e squalifica qualsiasi tipo di opposizione all'affermazione di un mainstream, qualunque rifiuto a risalire il fiume per ordine della Natura se sei un salmone, della Storia se sei un figliastro di Hegel. No grazie, non vado nemmeno a votare senza turarmi il naso dai tempi della balena bianca, non vedo in giro un partito in grado di rappresentarmi.

martedì 5 aprile 2011

Clima sereno e illiberale.

Stamattina una signora mi ha provocato la riflessione che vado spiegando, riassumibile così: se la piazza vota per Barabba vuol dire che Gesù è colpevole? È straordinario come i testi religiosi, e in generale i testi antichi che si occupano di filosofia, contengano una chiave di interpretazione per tutte le problematiche che si possano immaginare. Al punto da far pensare che il progresso si realizzi solo in ambito scientifico, senza una vera e propria evoluzione sociale trascini con sé la maturazione di uno sviluppo genetico, un mutamento dell'essere umano nelle sue componenti interiori fondamentali, immateriali. Quanti romanzi ipotizzano questa sorta di Regno Celeste, dalla Gerusalemme Celeste di San Giovanni prima e Sant'Agostino poi, per arrivare alle metropoli perfette della fantascienza ingenua del tempo post-industriale, non ancora superata dalle visioni corrotte della fantascienza apocalittica e neo-positivista. La separazione fra scienza e fantascienza è la base di una posizione intellettuale che squalifica e declassa tutto ciò che non è misurabile e dimostrabile, e così facendo perde la capacità critica, la visione d'insieme, la profondità d'intendimento. L'umanità esce impoverita dal processo di razionalizzazione in atto da secoli.

Nato come giustificata reazione all'eccesso opposto, quello del primato dell'autorità morale sulla codificazione del diritto, si trasforma a propria volta in una fonte di giustificazione del potere che trova giustificazione in se stessa. La religione della ragione, la tirannia del manicheismo ideologico. Società in cui si strumentalizzano i metodi democratici per sostenere posizioni estremiste e illiberali, dove si va in piazza a gridare Barabba per raggiungere fini politici concreti tanto quanto lo furono allora, quando liberare Barabba equivaleva esprimere un protesta diretta al governo in carica, all'autorità costituita, sfruttare l'unico canale mediatico di quel tempo, urlare in piazza, per dare significato e volume alla voce della protesta. Vi devo mostrare il paradosso o lo vedete da soli? Si mira a ottenere la società perfetta, quella dove nessuno avrà più nulla di cui lamentarsi, la Gerusalemme celeste, Iperurania, Utopia, mentre in realtà è solo una strategia per incanalare il dissenso e rendere gestibile il perenne movimento di ribellione che nasce dai sentimenti di insoddisfazione, di infelicità tipici dell'essere umano, il senso di ingiustizia che è radicato nella realtà, la rabbia che sgorga nelle persone che non vogliono accettare l'impotenza che deriva dalla sensazione di non poter cambiare il mondo.

Ma torniamo alla signora di stamattina. Puliva il portico, gettava acqua in terra e spazzava, e a un certo punto si è sfogata dicendo la puzza, dicendo i gatti mi pisciano sui vasi ogni notte. La signora però ci ha messo il finto divertimento imbarazzato di chi si sente in colpa, di chi sfida il mondo e rischia punizioni e rimproveri, come se potesse offendersi qualcuno per il fatto che lei osi prendersi la libertà di non amare i gatti, la sfacciataggine di mostrare sentimenti non condivisibili, l'atteggiamento provocatorio e reazionario di chi non fa finta di amare i gatti per omologarsi al pensiero dominante, adeguarsi, evitare conflitti con chi ha deciso che i gatti vanno amati, e se non li ami verrai scomunicato dalla società civile, dal popolo democratico, dai rappresentanti ufficiali del ministero del bene, del vero, del bello, del giusto. Ecco, ho pensato che nel nostro mondo esiste un governo invisibile che non è più quello di un vecchio uomo barbuto che vuole essere chiamato papà, adesso è un Ministero, con tanti omini incravattati che vanno in giro a far multe, ti guardano male se non la pensi come ti dicono che dvi pensarla, se parli dicendo cose che non si devono dire, che fanno di te un essere politicamente deprecabile, brutto, sporco, cattivo, da isolare e ritenere pericoloso per la società. Mi ha ricordato una vignetta che prendeva in giro la Russia durante la guerra fredda, si vedeva un cartello con su scritto “Sei libero di pensare e di dire quello che vuoi” e sotto, in piccolo, “Fino a quando non lo fai.”

Ho detto alla signora "Signora non so lei, ma io i gatti li odio", e lei era così sollevata che mi ha sorriso come se avesse incontrato Gesù, al punto che ho pensato a Gesù, mi è venuto in mente quando dice al ladro inchiodato lì vicino che andrà in paradiso, e questo dimostra che possono scrivere libri su libri ma non c'è situazione che non si possa ricondurre a un passato lontano perché noi, oggi, adesso, siamo uguali, siamo identici agli uomini di secoli fa. Siamo mediamente più alti, più grassi, più sani, ma per il resto non siamo cambiati di una virgola. Quando incontro gente che si sente superiore agli antichi perché conosce di più il mondo, perché ha imparato le buone maniere, perché sa guidare la macchina, mi sembra di avere di fronte una persona ingannata, indotta a mentire a se stessa per sentirsi migliore di chi? Di chi odia i gatti perché gli vanno a pisciare nei vasi di fiori? Tu che abbracci e fai tuoi tutti i suggerimenti che dirama il Ministero della parte giusta, che se ti dice gridate Barabba tu corri in piazza e gridi Barabba con la convinzione di essere nel giusto e che chi non grida Barabba sia malvagio, contagioso, infrequentabile e impresentabile, tu che pensi di essere parte del Ministero, che il ministero sia diretta espressione del popolo, come se iol popolo schiumasse buon senso e il Ministero non facesse altro che raccoglierlo e armarlo per fargli vincere la guerra non tanto per cosa – per la Gerusalemme celeste – ma contro cosa, perché il Ministero deve avere un Nemico, non ha senso il Ministero se non combatte il Nemico.

Parliamo del Nemico del Ministero, ovvero della causa di tutti i mali. Se la società è malata è per colpa del Nemico egoista, stupido, non collaborativo, pigro. Se l'economia non funziona è colpa del Nemico che non cava sangue dalle rape. Se c'è l'inquinamento è colpa del Nemico, che non appoggia l'ecologia. Rendetevene conto, funziona così, ci vuole un Nemico e ci vuole che il Nemico sia al potere. Nel momento in cui il Nemico non è al potere diventa più difficile dargli la colpa, ma si può fare: se non ci sono soldi è colpa del Nemico che evade le tasse, che boicotta le iniziative del Governo, che fa opposizione scorretta e impedisce il normale svolgimento dei lavori parlamentari, il Nemico che non si comporta in modo democratico e mette i bastoni fra le ruote. Questa signora che ha paura di esprimere il suo odio per i gatti mi ricorda il periodo dell'inquisizione, le dittature che ti dichiara dissidente e ti manda nei campi di rieducazione a curarti, perché sei 'malato'. Tra un po' arriva la Pasqua e ci sarà come sempre il solito intelligentone che si sentirà ultramoderno a prendere in giro la Pasqua, a mostrare disprezzo per la religione cristiana, per colpire il Nemico, ridicolizzare quello che non fa il tifo per la squadra della scienza, e riecco la separazione che si vuole produrre sempre e dovunque, la tentazione a ritenere corretto dividere le persone fra amici e nemici, creare tensioni e differenze, lotta, contrasto. L'Avversario, anche questa figura è molto, molto vecchia.

Come gridare Barabba, un'azione politica, l'azione che spiega in modo esemplare in cosa consiste la politica: creare divisioni fittizie, sfruttare le debolezze umane individuali e di massa, in modo che la signora di stamattina si senta male a esprimersi liberamente, si senta in colpa, quando non addirittura in pericolo, a esercitare il suo diritto alla libertà di pensiero e di parola. Preferisco il clima illiberale esplicito delle dittature a quest'aria ipocrita e maligna che respiro nel mio paese. Se vivi in un paese che ti dice chiaramente che sei uno schiavo almeno non ti prende in giro, non ti fa credere che sei libero quando invece il livello di violenza esplicita e implicita è così alto da indurre all'autocensura una gran fetta della popolazione. In pratica viviamo in uno Stato in cui il Ministero dell'Omologazione Ideologica indica come Nemico il Governo, roba da schizofrenia. La maggioranza della popolazione che ha votato il Governo – perché siamo in democrazia, si vota qui da noi – viene trattata da complice del Nemico. “Sei libero di votare per chi ti pare”, fino a quando non lo fai. Che la tensione diventa così alta da indurre i moderati a tirarsi indietro, a non andare nemmeno a votare, lasciare che in piazza ci vadano solo gli esaltati, i militanti, gli ipnotizzati, gli impiegati del Ministero, tutti coloro che non si sentono strani a obbedire all'invito di gridare tutti insieme Barabba. Rispetto, zero.