giovedì 31 marzo 2011

Pesi e misure.

Politici e media sono coalizzati contro di voi, è meglio che ve ne rendete conto, nessuno è vostro amico, nessuno lavora per voi, per i cittadini, per il popolo. Anche se siete in democrazia, certo, a meno che davvero pensiate che si debbano perseguire obiettivi di principio a qualunque costo, anche quello di provocare crisi economiche, carestie, epidemie, guerre civili. Per cui tanto per cominciare accantonate l'idea che il governo, qualsiasi governo, sia buono e giusto. Chiunque andrà al potere, non importa di quale partito, di quale ideologia/religione, non potrà materialmente dar vita a un governo in grado di costruire il mondo ideale, la società ideale. Un conto è essere ottimisti, un conto è essere pirla, scegliete voi, per me è uguale. Lo stesso discorso vale per i media: non sono buoni e giusti nemmeno i media. Mi stupisce se qualcuno ne rimane sorpreso. I media sono fatti da persone che prendono lo stipendio, non possono fare quello che gli pare, devono come minimo obbedire alla cosiddetta 'linea editoriale', sarebbe a dire gli obiettivi politici dell'editore che ci mette i soldi.

La concorrenza tra i singoli editori non avviene in termini di maggiore adesione a scale di valori, a maggiore espressione di coerenza etico-morale. No. La concorrenza si esprime nel vendere copie, nel catturare telespettatori ai quali propinare il contenuto degli spazi pubblicitari. Ecco cosa tiene in vita i singoli media: i soldi dei clienti, i soldi della pubblicità, i soldi degli investitori. Pensate davvero che i media abbiano a cuore la missione giornalistica al punto da preferire il fallimento a una lettura più libera dei doveri legai alla professione? Credete che i giornalisti non abbiano figli affamati a casa da nutrire e possano concedersi di sacrificare l'utile al dilettevole? Magari vi dicono quello che volete sentirvi dire, e voi li ringraziate comprando copie dei loro giornali, schiacciando sul telecomando il bottone del loro canale televisivo. Vi sentite sostenuti nella vstra lotta politica, pensate di contribuire alle scelte politiche che vi riguardano, in realtà quello che state facendo è contribuire a far ottenere stipendi milionari, cercare di influire in modo tale da avere anche voi più soldi in tasca domani di quanti ne avete oggi.

Il conflitto si fonda sempre e comunque sui soldi, su chi deve pagare e chi deve incassare. Lo Stato mantiene un numero così alto di persone che un partito può restare sul mercato della politica solo intercettando il voto di chi deve ringraziare lo Stato per lo stipendio che riceve. Anche il clima violento fa parte della strategia del conflitto tra partiti/azienda, partiti/cosca, partiti/chiesa, partiti/squadra del cuore. Lo scopo è la gestione dei soldi pubblici, degli introiti delle tasse, in modo da smistarli fra i propri amici e lasciare a bocca a asciutta gli amici degli altri partiti. Voi non contate niente, voi siete solo voti che camminano, teste vuote da riempire di cazzate propagandistiche. Vi fanno annuire o indignare, vi fanno odiare o ammirare, vi fanno fare tutto quello che vogliono con la forza del numero, la stessa forza che guida i branchi di scimmie: il numero, la massa, la maggioranza. Se vedi cento persone che guardano in alto tu cosa fai? Te lo dico io, alzi la testa e guardi anche tu in alto. E anche se non c'è niente da vedere trovi strano il comportamento di qualche individuo isolato che sta guardando per terra. Pensaci la prossima volta che ti senti spontaneo, genuino, intuitivo, sentimentale.

La paura è la chiave di ogni sopraffazione legalizzata. Bisogna che il cittadino si senta continuamente sotto minaccia e ricatto, in ogni professione. Il commerciante deve sentire come se in ogni momento potesse entrare la guardia di finanza e fargli chiudere bottega. E sta zitto, cerca di rendersi invisibile, non si espone, non dice la sua opinione ad alta voce. Il giornalista rischia il licenziamento, o anche di venire picchiato da qualche gruppo di estremisti dell'altro versante politico. Ci sono sempre estremisti senza cervello che pensano di essere nel giusto e sono pronti a usare la forza quando c'è da sostenere le proprie idee. Il dipendente può venire trasferito, mobbizzato. L'imprenditore può perdere commesse o finire in tribunale per un qualsiasi motivo, cosa che gli comporta la perdita di decenni di vita in certe nazioni. Per cui chi può permettersi di alzare la voce, andare in piazza, firmare con nome e cognome, mostrare la faccia? Solo chi non è ricattabile, condizionabile, minacciabile, azzittibile. Chi non rischia di perdere il lavoro, di prendere botte (o che gli sparino i parenti o rapiscano i figli), di andare incontro a seccature che può benissimo evitare tenendo la bocca chiusa. Gli altri tacciono o ne parlano come se fossero scemi, facendo discorsi volutamente stupidi, adeguandosi a guardare dalla stessa parte in cui sembra che guardino tutti. E da che parte sembra che guardino tutti? Da quella più urlata e ripetuta dai media.

Acclarato che è tutta una fregatura e che solo uno stupido si fa venire l'agitazione leggendo i giornali, guardando la tv, ascoltando le cazzate dei politici, incrociamo le dita che gli stupidi non siano così tanti da mandare al potere un gruppi di incapaci che faranno solo danni. Il che presuppone che esistano politici che non sono incapaci e che non faranno danni, ipotesi bislacca in un paese che da decenni sperpera soldi pubblici e si trascina in una palude da paese culturalmente, civilmente, socialmente, tecnologicamente sottosviluppato. Il gioco che svela quanto siete succubi della disinformazione è così semplice da far schifo: per capire se vi hanno tirato il pacco oppure no vi consiglio l'esperimento dei pesi e delle misure. Immaginate che l'avversario politico che odiate abbia scelto, all'inizio della sua carriera, la parte politica per la quale votate/tifate. Oggi quale sarebbe il vostro atteggiamento nei suoi confronti? Immaginate che tutte quelle leggi che non vi piacciono le abbia promulgate il partito che sostenete firmando le sue petizioni, andando alle sue feste e alle sue manifestazioni, pagando la quota annuale di tesseramento.

Per esempio Obama (con la signora Clinton) è stato il primo presidente a eseguire azioni di guerra, per la precisione in Libia, senza avere ottenuto l'autorizzazione del Congresso. Non mi interessa qui discutere se ha fatto bene o male, le motivazioni umanitarie che rendono giusta una guerra agli occhi di chi ha bisogno di un po' di olio per mandare giù il rospo. Mi interessa invece sottolineare: come pensate che si senta un elettore democratico americano che odiava Bush per via della guerra in medio oriente e scopre che Bush non ha mai bombardato nessuno senza chiedere prima il permesso al Congresso degli Stati Uniti d'America? Oppure che Berlusconi fosse sceso in campo a sinistra, Porca Italia al posto di Forza Italia, usate la fantasia, e avesse fatto vincere la sinistra per vent'anni. Cosa penserebbe e direbbe adesso chi lo dichiara colpevole della qualunque a prescindere e desidera vederlo soffrire, perdere, morire? Secondo me griderebbe alla sua innocenza, al complotto, al colpo di stato. Toh, proprio quello che fanno i suoi sostenitori. Due pesi e due misure, pensate anche a questo la prossima volta che cercano di mandarvi il sangue alla testa creando vittime con la stessa facilità con cui creano i carnefici, disegnano eroi utilizzando la stessa matita che usano per le nemesi.

lunedì 28 marzo 2011

Diritto d'autore.

Ci sono persone che producono sequenze di dati e le registrano, nello specifico suoni, immagini, lettere e numeri. A volte si tratta di sequenze che non si possono ricondurre a sequenze preesistenti ma il più delle volte risultano solo parzialmente innovative. Il business legato al diritto d'autore è immenso. In passato, quando il diritto d'autore era applicato a oggetti non duplicabili, si poteva assimilare al diritto di proprietà: se vuoi ascoltarmi suonare devi pagare il biglietto, se vuoi guardare il mio quadro lo devi comprare e appenderlo in salotto. Oggi è sufficiente eseguire una volta, registrare e vendere copie e copie di copie. La scrittura provocò la morte del diritto di venire pagati per recitare a voce contenuti mandati a memoria, certo che non è mai esistita, per ovvi motivi, ma possiamo immaginare la professione di memoria vivente in epoche antiche, è un'ipotesi di tradizione orale del tutto razionale.

Il diritto d'autore ha vissuto un periodo di grande potenza nella parentesi storica che si apre con la nascita di possibilità duplicative materiali, stampa, fotografia, fonografia, e che si sta chiudendo adesso con la trasformazione di qualsiasi copia in sequenza di bit. Il computer è il culmine di quel processo che ha reso sempre più economica e accessibile la duplicazione. Oggi chiunque può creare e distribuire contenuti che rientrano nella casistica protetta dal diritto d'autore. In teoria l'intero contenuto di internet è, in quanto materialmente prodotto da singoli individui, un immenso agglomerato di materiale coperto da diritto d'autore anche se ceduto a titolo gratuito. Anche questo post che sto scrivendo è protetto dal diritto d'autore: l'ho scritto io, nessuno può rubarmi la paternità dei miei scritti o il diritto di farne adesso e in futuro ciò che voglio senza commettere reato. Eppure non si deve pagare per leggerlo.

Non pagare per leggere, ascoltare, guardare è l'incubo dell'industria che campa sul diritto d'autore. Giornali e televisione compresi. Le strategie adottate per allontanare la chiusura della parentesi succitata sono state il porre lucchetti alle singole copie e il creare sottoreti. Porre lucchetti è stupido. Esistono programmi che registrano quello che appare sullo schermo, non puoi impedire che il tuo film venga visualizzato su uno schermo a meno che tu non sappia come proiettarlo direttamente nel cervello del cliente o tu riesca a convincere tutti quanti che si devono usare degli speciali occhialini 3D. Esistono programmi che registrano i suoni che vengono riprodotti da cuffie o altoparlanti, non puoi impedire che la tua musica venga fuori da qualche parte come onda sonora e viaggi nell'aria per entrare nelle orecchie. Esistono programmi che riconoscono i caratteri a video e salvano in formato testo, non puoi far leggere qualcosa a qualcuno senza permettergli di vedere le lettere che hai usato. Per quanta protezione tu inserisca nei supporti, è impossibile evitarne la duplicazione senza impedirne la fruizione.

Ora siamo passati alla creazione di sottoreti. Internet viene usata come area pubblica nella quale creare isole, zone recintate, bunker dove è richiesta l'identificazione per accedere. Non una dichiarazione autografa, ma un vero e proprio documento certificato: numero di cellulare, carta di credito. Oppure una vera e propria chiave d'accesso solida, hardware, sotto forma di telefono, tablet, console di gioco, strumento di comunicazione che è l'unico modo di accedere alle aree che altrimenti rimangono off-limits. Come si costringe la gente a ritenere preferibile una gabbia alla libertà? Col marketing. Dici che internet libera e i computer normali è roba difficile, pericolosa, da stupidi e sfigati. Dici che questa stanza asfittica e opprimente è facile, è cool, è il futuro, è per persone intelligenti, curiose, simpatiche, vincenti. Costruisci un dispositivo che ha un bottone solo, utilizzabile anche da una scimmia, e il gioco è fatto.

Ma lasciamo perdere chi lavora per tenere aperta la parentesi e concentriamoci sul dopo, sul domani. Voglio fare un paio di esempi, uno sui contenuti, l'altro sulla forma. Per quanto riguarda i contenuti prendiamo la matematica, o anche la fisica o altra materia che preferite, perché ogni anno gli alunni devono comprare libri di matematica per andare a scuola? Esiste qualcuno che sfrutta diritti d'autore per aver ricopiato nel suo libro una formula che esiste invariata da secoli? La divina commedia, perché uno deve spendere soldi per comprare la divina commedia se la trova gratis in rete? L'editoria è un mercato, si vendono libri di barzellette di calciatori, ricette di presentatori televisivi, opinioni di giornalisti, sono paragonabili a grandi opere di letteratura? Non è quindi facile stabilire quale contenuto meriti la tutela del diritto d'autore e cosa no. Proprio ieri ho visto pubblicato un libro fatto interamente di domande, domande qualunque, molte prive di senso, come si può ancora parlare seriamente di diritto d'autore? Uno dei libri più venduto su amazon è un libro di pagine bianche che ha la parola 'sesso' nel titolo.

Anche l'esempio sulla forma è interessante. Prendiamo un libro composto di x frasi. Riportare una frase da un libro citandone la fonte infrange il diritto d'autore? Se sì allora al posto della frase si prendano le singole parole una per volta, se è ancora sì si pensi alle lettere dell'alfabeto. Se n*x individui citano su internet una delle x frasi, in modo che si possa ricostruire facilmente l'intero libro, in pratica l'intero libro è disponibile a chiunque possieda la sequenza ordinale delle citazioni. Pubblicare la sequenza ordinale, nell'esempio l'elenco degli indirizzi web che portano alle pagine che contengono i frammenti, che permette di ricostruire il libro equivale a pubblicare il libro violando il diritto d'autore? In fondo i libri, le musiche, i film, si tratta comunque di sequenze ordinate di atomi liberamente disponibili: lettere, numeri, note, fotogrammi, l'equivalente umano degli zero e uno che sono alla base del mondo binario.

Poi ci sono le traduzioni, se un libro antico è libero da diritti c'è sempre il costo della traduzione, della carta, il margine di profitto di magazzinieri e commercianti e spese di rappresentanza, di viaggio, spese di cancelleria, interessi sul leasing acceso per l'acquisto della vettura aziendale. L'oggetto che c'è sotto, il prodotto fisico necessario alla costruzione del palazzo dei costi che vanno a finire in capo al cliente finale, in questo caso il libro, che di fisico ha il supporto materiale, che sia carta o chiavetta usb o spazio su un server chissà dove che lo rende disponibile nella nuvola, il libro come prodotto commerciale c'è chi lo vuole spacciare per cultura in sé. C'è chi sostiene che siccome tutto ciò che riguarda musei, teatri, musica, libri, è cultura. Anche la rivista di moda piena di pubblicità o l'elenco del telefono, se li inscatoli nella forma-libro diventano cultura. E questo dipende un po' dal fatto che oggi si fa cultura per apparire, per emergere, per ottenere spazio mediatico, rubare fama, venire pubblicizzati e ottenuta la notorietà a propria volta sfruttare economicamente il potere di pubblicizzare. Non si mira a fornire aiuto ai posteri, a dire qualcosa che potrebbe essere utile ai posteri, no, si mira a venire ammirati dai presenti, applauditi, invidiati, osannati, idolatrati dal pubblico dei contemporanei. Ma questo non c'entra col diritto d'autore, sono considerazioni adatte a sviluppare un tema diverso.

lunedì 21 marzo 2011

Nausea.

Ci son dei giorni che ti viene a noia la conversazione nazionale, i discorsi degli invitati a sedere nel salotto buono della comunicazione al pubblico, i pagati per farlo, per fare cosa? Educarti, pedagogizzarti, istruirti, dirti come la pensa la maggioranza dei buonsensati e dei puri-di-spirito, così che tu possa conformare la tua opinione a quella declamata con toni inappellabili dai certificatori del politicamente corretto, dai razionalisti, dai realisti, dai fini conoscitori della gggente e di come la pensa la gggente là fuori. Ci sono giorni in cui lo spettacolo ti viene a noia come un mal di mare, come un esagerazione coi dolci, e non ti fai più complice a far finta che il circo delle pulci si tratti di un'esibizione spettacolare. Non hai più nemmeno voglia di far la fatica di replicare, di riportare il dialogo nei binari se non dell'interessante e dell'utile, almeno del credibile, e allora giri canale, fai spallucce, ti dedichi ai tuoi hobby pregustando il benessere che ti verrà dall'ignorare la immonda gazzarra degli scrofolatori e dei ravanatori nel torbido, degli intellettuali a cottimo e dei maître à penser da osteria numero cinque.

La bandiera e l'inno nazionale, il crocefisso sui muri, pagine e pagine di chiacchiere col sociologo che da anni tutti i lunedì spara banalità da rivista per adolescenti ridanciane sull'amore e i suoi derivati, poi c'è il solito vecchio bacucco che ci propina le sue obsolete considerazioni, e i santini del politichese che si rispetti, immaginette da baciare a cui votarsi per avere delucidazioni sulle prospettive sociali e le ritorsioni sullo scacchiere mediorientale, hanno la faccia stupita o incattivita tipica dei vecchi, quell'espressione acida o melensa che speri di non trovare mai sulla tua faccia guardandoti allo specchio, eppure c'è chi li tratta come parenti la cui foto va sul caminetto accanto a quella del presentatore che è stato in tv per decenni e gli vogliamo più bene che agli zii che vediamo solo a Natale, e vorremmo calamitarli al cruscotto per ricordarci di andare adagio, consumatore delle mie cazzate ti voglio bene vai adagio e compra il giornale, accendi la tv, continua a comprare i prodotti che pubblicizziamo. Ci sono dei giorno che ti viene voglia di sentire una voce scendere dal cielo e dire a tutti, uno per uno, dirci all'orecchio quello che davvero siamo, dire al gigione ecco, in verità in verità ti dico che tu sei un gigione, e al chissachì gli dica ecco tu ti credi. Le facce della gente, che ci sia anche una foto a immortalare le facce nel preciso momento.

L'altra ho visto un cartello al telegiornale, un cartello appeso nella vetrina di un negozio, c'era scritto 'Chiuso per rottura di coglioni' e ho pensato quel commerciante è un genio, ho pensato come ti capisco, compare. Ci vorrebbe un tasto come quello di Facebook solo che al posto di 'mi piace' dica 'rompicoglioni' così quando leggo l'invettiva di parte e la teoria del complotto, gli allarmi ingiustificati e gli inviti alla calma, la ragioni del nevrotico e le insinuazioni urlate si possa cliccare 'rompicoglioni' e una voce registrata ringrazi per aver espresso il livello di gradimento, e una mano meccanica si occupi di scrivere un appunto sui miei gusti nei registri del grande computer mondiale affinché chi deve scegliere sappia cosa mi rompe i coglioni e cosa mi sembra intelligente, affinché non mi venga propinata la sbobba e non sia costretto ad annaspare per restare a galla in una palude di articoli fesseria e trasmissioni acefale che voglio rimbalzare al mittente con tanti auguri di venire catapultati in universi lontani, privi di tangente, dove svanisca anche il ricordo del bombardamento mediatico che distrugge i pochi neuroni rimasti nel patrimonio dell'intelligenza umana. Ci sono giorni che appendi quel cartello lì, e permetti al cervello di rimettersi assieme, per quanto possibile.

Le mille polemiche su tutto, il benaltrismo, l'indignazione, la squalifica, il passo indietro, le dimissioni se il Papa, che anche stavolta non hanno eletto un Papa nero, c'è chi l'ha presa come una decisione razzista, il Papa apre bocca i titoli dicono che il Vaticano esplode di rabbia, che la Chiesa dichiara guerra, a che? Alle idee, come se praticasse il negazionismo nei confronti dei dinosauri o rifiutasse il funerale agli stupidi. Fino a ieri la Chiesa era anche fascista, oggi no, dipende dal vento e dalla convenienze elettorali, come la Lega, ieri erano scissionisti xenofobi stupidi razzisti oggi venite con noi a governare assieme. E le foto, se ti abboni alla versione elettronica del quotidiano cartaceo ti facciamo vedere in esclusiva le foto rubate di ragazze travestite da poliziotto, da infermiera, e le chiamo prostitute e affermo che facevano porcate anche se non è stato dimostrato, tanto al massimo poi basta una smentita, a pagine ventotto, in piccolo, nell'angolo. Il nucleare sì, il nucleare no. I referendum, le manifestazioni. Che gran scassamento di coglioni che è 'sta Italia. Vi rendete conto che state guardando un film, questi professionisti della pirlata che si danno il cinque sotto il tavolo parlano a nome di tutti mentre di quei tutti solo una piccolissima parte, mentecatti e creduloni compresi, si riconoscono in quello che dicono, trovano ben formulati gli pseudoragionamenti che propongono. Ci son giorni come oggi che uno si gira di là, non accetta la logica del fare il tifo tutti assieme, del farsi venire gli acidi di stomaco, del sentirsi amici guardando e dicendo e facendo le stesse cose, vestendosi uguali, pensandola allo stesso modo. Al posto della coccarda nazionalista mettiamo tutti una maglietta con su scritto 'chiuso per rottura di coglioni' e smettiamo di comprare giornali, prodotti pubblicizzati, andare a votare, guardare la tv, lasciamoli a sguazzare nella loro stessa m


martedì 15 marzo 2011

Implicazioni.

Possiamo identificare delle configurazioni strutturali che spiegano gli eventi in divenire. Per esempio, restando nei confini nazionali, vediamo alcune contraddizioni nei problemi occupazionali, come il bisogno di immigrazione e l'alta disoccupazione. Se hai tanti disoccupati di tuo, logica vuole che non ti serva importarne altri da fuori. La contraddizione si spiega con il livello di istruzione, il welfare, l'intervento dello Stato. Ovvero abbiamo bisogno di stallieri, infermieri, badanti, i 'lavori che noi italiani non vogliamo fare più' amano dire i politici che si fanno un vanto di una popolazione con in mano titoli di studio e in attesa che lo Stato gli procuri il lavoro per cui hanno studiato. L'ottimale sarebbe l'intera popolazione assunta dallo Stato per fare lavori più nobili rispetto a quelli rifiutati e regalati agli immigrati: una nuova forma di aristocrazia burocratica, con tanto di retorica costruita sull'ideologia dello 'Stato siamo noi', noi che paghiamo le tasse per darvi lo stipendio e permettervi di fare un lavoro che non sia da immigrato, eufemismo per schiavo post-moderno. Da una parte fanno le manifestazioni, si scandalizzano, raccolgono soldi per dare istruzione a bambini che poi si troveranno comunque a vivere in paesi che non hanno nemmeno acquedotti, l'ipocrisia del marketing buonista è una bestia cieca e obesa, fa ghiacciare il sangue nelle vene, e poi gli sta bene che vengano qua a spalare merda di mucca, straordinari, domenica compresa, niente ferie né tredicesima, o a chiedere monetine fuori dal supermercato.

Le verità scomode che nessuno dice, contrapposte alle bugie che tutti conoscono e alle quali purtroppo molti credono. Le bugie che parlano di tecnologia, di benessere, di vita che si allunga, malattie sconfitte, ricchezza sempre più abbondante e ben distribuita. Sono i rimasugli dell'ottimismo sessantottino, dopato da droga ideologica e droga vera e propria. Un giorno il cibo non sarà più un problema, avremo sintetizzatori molecolari di cibo come sull'Enterprise. E invece vediamo che il cibo non solo rimane ma diventa sempre di più un problema, man mano che la popolazione aumenta, alla faccia di chi rideva in faccia a Malthus, più o meno gli stessi che issano Keynes come una bandiera. L'acqua è un problema e lo diventerà di più in futuro perché inizia a scarseggiare anche dove è sempre stata abbondante. L'inquinamento ha fatto diventare un problema anche l'aria, non solo acqua e cibo. Le malattie che si pensavano sconfitte ritornano, proprio ieri leggevo qui in Lombardia di TBC e meningite e pidocchi, roba uscita dalla porta e rientrata dalla finestra, mancano malaria e tifo e siamo a posto. Al posto di tutti ricchi oggi siamo tutti indebitati fin dalla nascita. Bugie, aprite gli occhi, vi hanno cacciato una marea di balle. Alla fine tutto quello che hanno dimostrato a proposito della vera natura del sessantottino è il viagra, continuare a scopare fino alla morte, magari ragazzine raccattate nei bassifondi di qualche città indonesiana, il costo del turismo sessuale messo in carico alla ditta come viaggio di lavoro. Il vero volto della generazione sessantottina, un libro ancora tutto da scrivere.

A noi invece è toccato l'aids, che ti assicurano che non si prende con un bacio, a meno che si abbiano ferite in bocca, e tu ragazzino o ragazzina con la testa sulle spalle non ci pensi nemmeno a morire di aids per aver baciato qualcuno senza aver prima visionato gli esiti di esami del sangue molto recenti. Intanto quelli fanno le orge con l'aiuto della pillolina azzurra, il 'medicinale' più venduto al mondo, se ne fregano dell'aids, non vogliono nemmeno il preservativo. In certe zone dell'Africa ormai sei strano se non ce l'hai, l'aids. Ma il sessantottino salta su e dà la colpa alla Chiesa, che predica astensione e non prevenzione, programmazione e non dissoluzione, come se a qualcuno gliene fregasse davvero di cosa dice il Papa sul preservativo, ridurre e semplificare sempre le riflessioni sui valori a opinioni da giornalista sfigato che vuol fare polemica e spostare voti per favorire un partito politico, come se il sessantottino e i suoi figli obbedissero ciecamente al volere di una qualunque chiesa, è già tanto se fanno finta di obbedire allo Stato, ribelli da James Dean e alla Easy Rider. Il peccato del seme buttato, che deve la sua origine al valore antico della prole. Una discendenza numerosa come i granelli di sabbia. La mentalità contadina dell'avere una mano nei campi, grano in magazzino per l'anno prossimo, del non lasciare che si disperda l'abbondanza accumulata. E questi bifolchi culturali sminuiscono tutto, ridicolizzano, si gonfiano di superbia nel vantare certezze conoscitive, mentre sono solo poveri illusi, infantili e irresponsabili, non sanno quello che fanno ma neanche quello che dicono, l'unica dimostrazione che riescono a mettere sul tavolo è la prosperità garantita dalla creazione di un debito pubblico enorme, dallo sfruttamento di innovazioni tecnologiche che grazie al consumo di petrolio e al rischio delle radiazioni nucleari, in cambio di una Terra depredata e avvelenata e spogliata di ogni ricchezza naturale, sono riusciti a produrre qualche decennio di benessere tale da permettere vite come le loro, condotte sull'onda di una gioiosa dissipazione, un divertito spreco portato avanti senza il minimo senso di colpa, anzi, chiedendo a noi di inchinarci e ringraziarli per tutto questo.

Calci nel sedere, altro che ringraziamenti. Sarete ricordati come le due o tre generazioni forse non più stupide ma certamente più dannose dall'inizio dei tempi. Lavoriamo di più, siamo più stressati, spendiamo in un giorno quello che potrebbe mantenere in vita una persona per anni. Tutti chiusi da soli dentro scatole metalliche, per ore, tutti con pensiero alla rata del mutuo, tutti a guardare ogni minuto della nostra vita il film creato dal marketing, dove le persone sono tutte belle, sane, felici, ricche, e vivono in un mondo bello, sano, felice, ricco. A questo ci siamo ridotti, questo abbiamo permesso che accadesse, in cambio della promessa di una medicina che non ci faccia morire prima di quanti anni? Quanti anni volete vivere, mille? Volete diventare un mucchietto di stracci tremante e bavoso che da secoli non sa più nemmeno che significhi vivere e morire da uomo? Abbiamo venduto la nostra dignità, la nostra purezza, in cambio di vestiti usa e getta, di ristoranti che servono cibi provenienti dall'altra parte del mondo, inscatolati sottovuoto, surgelati, caricati su un aereo che ha voltato tutta la notte, mentre noi dormivamo, per farci trovare nel piatto al risveglio un animale esotico, raro, squisito e soprattutto molto costoso. In cambio di cosa? Di un lavoro sedentario, per uscire dall'ufficio con giacca e cravatta e sederci in un locale a bere alcolici fino a collassare, per vedere i figli solo qualche ora nel fine settimana. Per comprare la televisione più grossa, la macchina più potente, la vacanza più esclusiva, per pagare chirurghi di plastica estetica.

Estetica, ecco, la parola che riassume quest'epoca. Non come cultura della forma, ma come superficialità. Sotto questo velo di estetica plasticosa che osano definire cultura permane la consistenza del sesso e della morte come unico motore di un'esistenza morale, il fulcro dell'arte a diretto contatto con i significati profondi e non la mera rappresentazione del segno dei tempi. La riproduzione, non come esito infausto del contatto carnale, nemmeno come inevitabile conseguenza del richiamo della natura affinché l'animale dimostri soggezione di fronte alle esigenze del ciclo economico. Non la riproduzione come sopraffazione delle società che relegano il femminino a complemento in subordine, non la riproduzione come rispetto di vincoli genetici che esprimono la tensione di una progettualità tesa a superare il presente nell'unico modo di cui dispone chiunque, ovvero l'accoppiamento. La riproduzione, così come la sua compagna morte, rivela oggi più che mai le sua incoerenza, le sue ripercussioni in campo morale. Da una parte è ingranaggio fondamentale del sistema economico capitalista, fondato sul postulato irrealistico della crescita infinita e delle risorse inesauribili, in un parallelismo che non regge laddove la produzione non può essere considerata alla stregua della ri-produzione e viceversa. Dall'altra parte ha conservato la carica dirompente della forza numerica che la riproduzione garantisce in un confronto tra famiglie, villaggi, popoli, continenti. Un esercito più numeroso comportava la sicura vittoria, e nei paesi dove il lavoro non è stato rivoluzionato dalla tecnologia la riproduzione avviene ancora senza tener conto di sopravvivenza neonatale, speranza di vita, lavori che 'noi non vogliamo più fare'.

Dalla tecnologia, non dalla politica, la politica è roba da stupidi, tutto sommato, e chi non lo capisce se la merita, la politica degli stupidi, tipo i sessantottini, senza tecnologia non si ottengono diritti, senza prosperità si perdono, i diritti, come sta succedendo anche adesso, basta una minaccia esterna o interna, che sia terrorismo o cambiamenti climatici. Eppure vediamo gli strascichi delle generazioni più recenti, che non e vogliono sapere di morire e sparire, occupano ancora radio, tv e giornali, un sacco di vecchi a dirigere la vita intellettuale di un paese che nei fatti li ha già lasciati indietro da un pezzo, e anche nelle industria, nelle istituzioni, insomma la classe dirigente è ancora lì da decenni, gli stessi nomi che sentivo quando ero ancora minorenne sono gli stessi che sento ora a 40 anni. Quelli che guardavano a se stessi come rivoluzionari, e non lo erano, erano ragazzini viziati che hanno avuto la fortuna di nascere nell'epoca del petrolio, l'epoca che stiamo cercando faticosamente di superare e che resiste come resistono loro, i piccoli rivoluzionari della domenica, che fanno la rivoluzione in piazza, per dire che l'han fatta loro e non i loro coetanei nei laboratori, per ironia della sorte nei laboratori delle nazioni capitaliste, se non ci credete paragonate quello che hanno inventato negli Usa (o nell'Europa pre-socialismo fascista e nazista e comunista) al resto del mondo. Le nuove generazioni, là fuori, hanno un lungo lavoro di ricostruzione, perché qui è tutto distrutto, uno tsunami culturale lungo un secolo sta tornando in mare, una volta per tutte si spera, lasciando dietro di sé macerie e fango. Internet è come darvi il fuoco, giovani generazioni, è come darvi la ruota, spero che sia rimasto qualcosa da salvare, che ci sia un modo per salvarlo e che valga la pena di essere salvato.

venerdì 4 marzo 2011

Target acquired.

Non capisco se c'è la precisa volontà di un manovratore occulto che attua una strategia ben precisa o se non c'è bisogno di coltivare sospetti e basta invece fare riferimento all'emersione naturale di una forma comportamentale del tutto spiegabile e riconducibile a teorie classiche della sociologia. Parlo dell'identificazione di un nemico comune, parlo del gridare “Eccolo, è lui, è tutta colpa sua, prendiamolo e facciamogliela pagare!” Il capro espiatorio in tempi antichi era veramente un capro, un esemplare maschile della capra, un animale vero, in carne e ossa, al quale si appendeva al collo una collana fatta coi peccati singoli e collettivi e lo si mandava a morire di stenti in esilio, nel deserto. Questa cerimonia serviva a dimenticare vecchi torti in una sorta di perdono vicendevole ritualizzato, un segno di pace, serviva anche a esorcizzare le superstizioni, una specie di sacrificio non cruento per placare il cattivo umore di entità soprannaturali. Sembra una storiella degna di un documentario sulle tribù primitive, ma le ripercussioni culturali di quel semplice gesto si ramificano e si fanno imponenti nell'evoluzione del pensiero, nello sviluppo della filosofia nelle varie sottodiscipline umanistiche che studiano l'essere umano al di là del suo corpo materiale.

Periodicamente pare proprio che la gente senta la necessità di scaricare la coscienza della collettività mediante l'individuazione di un capro espiatorio, il caricamento su di esso di tutte le colpe per la sofferenze e le ingiustizie che si riscontrano, quindi l'espulsione dal corpo sociale. Fateci caso, i capri espiatori più o meno vistosi si sprecano nella storia, sia antica che recente – non stiamo nemmeno a citare Gesù, capro espiatorio, fra le altre cose, per eccellenza. Quando c'è qualcosa che ci infastidisce, ci fa arrabbiare, ci fa sentire piccoli e deboli e impotenti, ecco che sentiamo il bisogno sempre maggiore di liberarci, di mettere la maggior distanza possibile fra noi e la causa del nostro malessere. Gli psicologi sono pronti a dirci di stare calmi, che il male è dentro di noi e non è così facile liberarsene, ma un conto è rendersene conto (Froid) e un conto è rifiutare il sollievo che può dare una pratica magica (Jung). Essere convinti di poter trasferire, come fa quel tizio che ho nominato prima, i demoni in un branco di maiali che poi si buttano da soli nel precipizio è come minimo liberatorio. La ricerca di Dio come ricerca della libertà è senz'altro un tema affascinante, ma non è ciò che volevo approfondire oggi.

Fate un rapido controllo: quante volte vi è capitato di sentirvi assolutamente d'accordo con chi accusa e giudica? Gli inquisitori, il terrore come virtù dei sanculotti, i nazisti, gli Hutu in Ruanda, i campi di rieducazione russi e cinesi, la lista potrebbe essere lunga da qui a là e quello che accomuna ogni elemento di questa lista è che la gente, il popolo, era d'accordo, gioia, si esaltava. In seguito si parla di sonnambulismo, di lavaggio del cervello, di una manciata di persone che è riuscita a compiere il male di nascosto, che il popolo non ha reagito perché aveva paura delle conseguenze. E no, cari miei, diciamo la verità: la gente batteva le mani, la gente rideva, sputava addosso la nemico comune (spesso chiamato proprio 'nemico del popolo'), anche quella gente che poi, quandosi chiude la parentesi di follia legalizzata, fa come Pietro e rinnega una, due, tre volte se necessario, dice io no, io non c'ero, e se c'ero non ero d'accordo. Il giudizio è la radice di uno iato profondo dal quale scaturiscono gli esseri mostruosi della sopraffazione, dell'incomprensione, della soppressione e via dicendo. Il giudicare, il cercare pagliuzze e travi, il sentirsi autorizzati a esprimere sentenze, atteggiamento che va dallo spettegolare dal parrucchiere al costruire elaborati j'accuse politici.

Il giudizio è esercizio della ragione e strumento di civile convivenza ma allo stesso tempo è un'arma delicata, che esplode nelle mani di un utilizzatore imprudente. E quando succede non sempre si risolve tutto espellendo dal corpo sociale il bacillo dell'infezione, appendendo per i piedi il suo cadavere in piazza, fucilandolo dopo un processo sommario e gettandolo in una tomba senza nome, condannandolo a passare il resto della sua vita in carcere, obbligandolo a cercare rifugio all'estero. Quando vedo che inizia la caccia la capro espiatorio mi viene sempre il sospetto che ci sia una mano che organizza, una mente che bisbiglia calunnie in orecchie bendisposte all'ascolto, insomma un progetto che mira a stravolgere il mondo perché ha in mente un dopo, perché sa cosa fare quando avrà raggiunto il suo scopo di parare a festa e bandire dal villaggio il capro espiatorio. E invece il più delle volte non c'è una logica, una ragione, è solo il sangue che pompa nelle vene, i demoni che non ci pensano neanche a trasferirsi nei maiali, i difetti di una creatura che ambisce alla perfezione e con le pretese della superbia, da sempre la trappola che il rappresentante dell'avversione si costruisce con le proprie mani, finisce per cadere più in basso di dov'era partita.

Una vicenda triste, se vogliamo, non tanto perché con tutta evidenza è una delle tante prove che dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la intrinseca manchevolezza dell'essere umano, la colpa originaria che ci vincola a una vita di sforzi inutili ma comunque necessari a fornire un senso all'esistenza individuale e collettiva. Riassumo il discorso: o c'è qualcuno che davvero briga e manovra per incolpare un innocente e farne un capro espiatorio (è successo molte volte nella storia), oppure non c'è una persona o un gruppo di persone che trama nell'ombra o manifesta apertamente ma si verifica una sorta di moto ondoso nella coscienza collettiva che è come minimo inquietante. Un corollario qui solo abbozzato: è cosa succede dopo? Si aspetta che la situazioni torni favorevole alla cacciata di un nuovo capro? La magia esiste e in questo caso si compie davvero e i problemi si risolvono da soli, l'economia migliora per incanto, la gente diventa improvvisamente buona, gentile, generosa, tollerante, simpatica, intelligente solo perché abbiamo trovato qualcuno da incolpare per come andava il mondo fino a ieri? Quando vi viene voglia di giudicare qualcuno, quando godete nel vedere qualcuno coperto di ignominia, fermatevi a chiedervi se quello che state cercando è l'ennesimo capro espiatorio su cui tirare la neve sporca che tutto noi serbiamo nel profondo.